Capitolo 6

Non erano ancora le otto del mattino quando Erika parcheggiò di fronte alla stazione di polizia di Lewisham Row. Avevano continuato a lavorare sulla scena del crimine fino a notte fonda, aveva avuto giusto il tempo per un paio d’ore di sonno e una doccia prima di riattaccare. L’aria calda e densa di smog l’assalì non appena scese dalla macchina, mentre dalla circonvallazione arrivava il borbottio sommesso dei camion che scalavano marcia. In lontananza, i rumori aspri e meccanici delle gru del cantiere. Stavano costruendo grattacieli così alti da umiliare la stazione di polizia, bassa e tozza. Erika chiuse la macchina e attraversò il parcheggio diretta all’entrata della centrale. La giornata era appena iniziata e lei era già sudata, accaldata e di cattivo umore.

Nella reception faceva un po’ più fresco ma il calore, unito a un disgustoso odore di vomito e disinfettante, non migliorava certo l’atmosfera. Il sergente Woolf era chino sulla sua scrivania, intento a compilare scartoffie. La cintura faticava a contenere la pancia, il viso tondo e paffuto era paonazzo e zuppo di sudore. Un tizio alto e magro, con una tuta da ginnastica logora, se ne stava in piedi ad aspettare. Ogni tanto lanciava un’occhiata ai suoi effetti personali chiusi nella busta di plastica sulla scrivania: un iPhone nuovo di zecca e due pacchetti di sigarette ancora sigillati.

Il volto scarno e deperito stonava con gli oggetti costosi che aspettava di riprendere. Erika aveva la sensazione che quel tizio sarebbe tornato da loro molto presto…

«Buongiorno. Non troverò mai un caffè freddo in mensa, vero?», chiese Erika.

«Chissà», rispose Woolf asciugandosi il volto con l’avambraccio peloso. «In quella mensa servono sempre tutto congelato, magari ci riescono anche con il caffè».

Erika sorrise. Il tipo smilzo alzò gli occhi al cielo. «Ma sì, fatevi pure una bella chiacchierata. Tanto io ho un sacco di tempo da perdere. Ridatemi soltanto l’iPhone. È mio».

«È stato requisito quattro mesi fa sulla scena di un crimine. Credo che ce la farai a resistere altri dieci minuti», disse Woolf folgorandolo con lo sguardo. Mise giù la penna e premette il pulsante che apriva le porte automatiche che conducevano al cuore della stazione. «Marsh è già qui. Ha detto che voleva vederti non appena arrivavi».

«Va bene», rispose Erika. Le porte si richiusero alle sue spalle, cancellando tutti i rumori. Superò il corridoio rovente e luminoso su cui si affacciavano una serie di uffici vuoti e desolati. Era ancora presto ma molti agenti erano in ferie, e l’intera centrale sembrava assopita.

Salì in ascensore fino all’ufficio del capo, all’ultimo piano. Bussò, ricevette una risposta a mezza bocca ed entrò. Il sovrintendente capo Marsh le dava le spalle, osservava la distesa infinita di gru e traffico fuori dalla finestra. Era un uomo alto e ben piazzato, con radi capelli corti sale e pepe. Quando si voltò, Erika vide che le sue labbra erano chiuse intorno alla cannuccia verde di un caffè freddo Starbucks. Nonostante la stanchezza, Marsh era molto affascinante. Sollevò le sopracciglia e bevve un altro sorso.

«Buongiorno, signore», lo salutò.

«Buongiorno, Erika. Tieni, ho pensato che ne volessi uno anche tu». Marsh si avvicinò alla sua caotica scrivania e raccolse un altro bicchiere, passandolo a Erika insieme a una cannuccia ancora sigillata. La tazza di cartone aveva lasciato un grosso cerchio di umidità sul rapporto preliminare che Erika aveva inviato per mail la notte del ritrovamento del corpo di Gregory Munro.

«Grazie, signore». L’ispettore capo prese il bicchiere e, mentre infilava la cannuccia, si guardò velocemente intorno. Il caos era totale. L’ufficio del capo le era sempre sembrato un mix di grande autorevolezza e di confusione da adolescente. Le pareti erano tappezzate di diplomi, le mensole della libreria erano piene di faldoni di vecchi casi sistemati alla bene e meglio, mentre dai cassetti stracolmi spuntavano fogli e fascicoli che erano stati spinti dentro a forza. Il cestino stava per scoppiare, ma invece di svuotarlo Marsh aveva eretto una precaria torre di rifiuti. Bicchieri di plastica e confezioni vuote di panini avevano ormai oltrepassato il bordo di trenta centimetri buoni, ma rimanevano in perfetto equilibrio. Sul davanzale una fila di piante era lasciata a morire e i resti di un vecchio appendiabiti erano riversi a terra, ammassati lungo la parete. Forse era crollato sotto il peso dei vestiti, o forse Marsh l’aveva distrutto in preda a un attacco d’ira che Erika aveva avuto la fortuna di evitare.

Rimosse il sottile involucro di carta e infilò la cannuccia verde nel buco, bevendo il primo sorso e godendosi il delizioso piacere del caffè freddo.

«Allora, signore, a cosa devo il piacere di un caffè decente? È perché sta per andare in vacanza?».

Marsh sorrise e si mise a sedere, invitandola a fare lo stesso. «Già, due settimane nel sud della Francia: non vedo l’ora. Comunque, be’, ho letto il tuo rapporto. Delitto a sfondo sessuale, eh? Brutta roba».

«Signore, non sono certa che si tratti di questo…».

«E come no? Più chiaro di così: maschio, porno gay, asfissia. Era un dottore con un ottimo stipendio. Secondo me ha ingaggiato un gigolò, hanno fatto sesso violento e le cose sono andate storte. È stato rubato qualcosa?»

«No, signore. Come ho detto, non sono certa si sia trattato di un delitto a sfondo sessuale. Nel rapporto preliminare non l’ho classificato in questo modo». Erika notò lo sguardo confuso di Marsh. «Signore, lo ha letto il rapporto?»

«Certo che l’ho letto!», sbottò lui.

Erika raccolse il fascicolo sulla scrivania. L’inchiostro era tutto sbavato sotto la chiazza di umidità lasciata dal bicchiere. Si accorse che c’era soltanto un foglio, così si alzò e andò alla stampante di Marsh. Aprì il cassetto della carta, tirò fuori una risma di fogli, li mise a posto e richiuse.

«Che stai facendo?», le chiese il capo. Dopo un click la stampante partì. Quando sputò la seconda pagina del rapporto, Erika la passò al capo e si rimise a sedere. Marsh lesse e cambiò colore.

«Signore, abbiamo rinvenuto tracce di premeditazione. L’allarme era stato disattivato, le linee telefoniche tagliate e non abbiamo trovato né impronte né fluidi corporei appartenenti a terze persone».

«Santo cielo, ci mancava solo questa. Pensavo si trattasse solo di una notte di sesso estremo finita male».

«Solo una notte di sesso estremo finita male, signore?»

«Sai cosa voglio dire. Certe storie – be’, non attirano troppo le attenzioni della stampa». Marsh studiò di nuovo il rapporto, con maggiore attenzione stavolta. «Porca miseria, Gregory Munro era un medico di base, un padre di famiglia. L’indirizzo?»

«Laurel Road. Honor Oak Park».

«È pure una bella zona, quella. Scusa, Erika. È stata una settimana lunga e… Avresti potuto numerarle, le pagine».

«Sono numerate, signore. Sto aspettando i risultati della scientifica e dell’autopsia del dottor Isaac Strong. Intanto controlleremo l’hard disk del computer e del cellulare della vittima. Vado a fare il punto della situazione con il mio team».

«D’accordo, tienimi aggiornato. Se scopri qualcosa voglio saperlo immediatamente. Ho un brutto presentimento, Erika. Prima prendiamo questo bastardo, meglio è».

La donna di ghiaccio - La vittima perfetta - La ragazza nell'acqua
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