Quando Erika riemerse nell’atrio della stazione di Brockley vide casa sua alla luce del giorno. Fu una vera e propria sorpresa. La strada ferveva di attività, un furgoncino delle poste si fermò davanti a una cassetta, un giovane postino scese e l’aprì, tirando fuori un sacco pieno di lettere. Di fronte alla stazione c’era un bar dove due signore sedevano a un tavolino sul marciapiede e fumavano avvolte nei loro giacconi, lasciando tracce di rossetto sulle tazze di tè di porcellana bianca. Un cameriere di bell’aspetto con il piercing al labbro si avvicinò al loro tavolo. Guardò le tazze e disse qualcosa, facendo scoppiare a ridere le signore.
Erika frugò nella borsa e tirò fuori le sigarette. Ne accese una con le mani tremanti. La sensazione di angoscia era aumentata durante il viaggio in metro. Il cuore le martellava nel petto e le pareva di guardare il mondo attraverso un vetro offuscato. Il bel cameriere stava ancora chiacchierando con le signore, che flirtavano con disinvoltura.
«Oh no, no, no, no, no», disse una voce.
Erika si guardò intorno. Un tizio obeso con l’uniforme della South West Trains si materializzò accanto a lei.
«Come, scusi?», chiese Erika.
«Per caso ha voglia di una multa da mille sterline?»
«Cosa?», rispose lei, confusa.
«È vietato fumare nelle stazioni. Ma possiamo risolverla facilmente, deve solo fare un passo più in là, forza».
Perplessa, Erika fece un passo in avanti.
«Ecco fatto, tutto risolto, adesso non è più dentro la stazione!». Indicò i suoi piedi, che ora si trovavano sull’asfalto liscio appena fuori dal perimetro della stazione.
«Okay», disse lei a disagio.
L’uomo la fissò con aria perplessa. Solo qualche istante dopo Erika realizzò che in realtà le aveva fatto una gentilezza. Ma ormai era troppo tardi. L’uomo si allontanò borbottando. Anche Erika se ne andò, con il cuore che le batteva ancora più forte mentre aspirava la sigaretta. Le signore al bar adesso stavano consultando la carta dei vini, continuando a ridere e a chiacchierare con il bel cameriere. Un signore anziano passava in rassegna un espositore girevole di cartoline fuori dall’edicola all’angolo. Due signore altrettanto anziane passeggiavano lentamente, trasportando pesanti buste della spesa, immerse in una fitta conversazione.
Erika si appoggiò al muretto basso di una casa per riprendere l’equilibrio. Si rese conto che non aveva idea di cosa volesse dire essere una persona “normale”. Poteva guardare un cadavere senza battere ciglio e tenere a bada stupratori violenti, farsi sputare addosso e minacciare con un coltello, ma la cosa che la spaventava veramente era vivere nel mondo reale, far parte della società. Non aveva idea di come vivere da sola, senza neanche un amico.
L’enormità di quello che aveva appena fatto la colpì con violenza. Aveva sabotato la conferenza stampa di un importante caso di omicidio. E se si era sbagliata? Tornò di corsa all’appartamento, si sentiva sempre più stordita, sudava freddo sotto la giacca.
Entrò e si accasciò sul divano. La stanza girava tutta intorno a lei e il suo campo visivo era oscurato ai margini da una macchia confusa. Sentì lo stomaco contrarsi e corse in bagno, arrivò appena in tempo per vomitare nel gabinetto. Crollò in ginocchio ansimante, poi vomitò di nuovo. Tirò lo scarico e si lavò la bocca sorreggendosi al lavandino, perché sentiva il pavimento sotto di lei ondeggiare. La sua immagine riflessa nello specchio era terribile: occhi infossati, colorito verdastro. Le macchie confuse che vedeva davanti agli occhi si ingrandivano fino a coprire il centro della sua visuale. Adesso tutto il volto era una macchia nello specchio. Cosa le stava succedendo? Tornò barcollando in salone e si appoggiò allo stipite della porta, poi si impose di fare un ultimo scatto fino al divano. Ora il centro del suo campo visivo era un’unica macchia confusa. Dovette inclinare la testa per individuare con la coda dell’occhio la giacca di pelle, posata su un bracciolo del divano. In una delle tasche c’era il telefono. Erika inclinò di nuovo il capo e si accorse che era ancora spento dalla conferenza.
Il sangue le salì alla testa e il panico la invase. Stava morendo. Sarebbe morta da sola. Trovò il pulsante di accensione e lo premette, ma sullo schermo comparve un disco rotante, il segnale di attesa. Erika crollò in avanti sul divano. Era terrorizzata e sentiva un terribile mal di testa prendere forza alla base della nuca. Un principio di emicrania? Poi la stanza ruotò su se stessa un’ultima volta e tutto si fece buio.