Quando Erika e Moss ritornarono sulla scena del crimine la folla di fronte alla casa di Heart era persino più fitta. Al furgoncino di Sky News si erano unite le troupe televisive della BBC e della ITN. Il responsabile dei rilevamenti, Nils Åckerman, andò incontro alle agenti con in mano due tute blu pulite.
«Le linee telefoniche sono state tagliate, proprio come a Laurel Road», disse, mentre Erika e Moss si cambiavano.
«È lo stesso killer, deve esserlo per forza», commentò Moss mentre tirava su la zip e il cappuccio della tuta. Erika continuò a cambiarsi senza dire nulla. Passarono le tute zuppe e sporche a un tecnico che le sistemò in un sacco di plastica.
«Vedete cosa riuscite a tirar fuori da questa», disse Erika passando a Nils la memory card nella piccola busta di plastica. «È stata ingerita, ma solo per poco tempo».
«Non dovrebbe essere un problema», rispose lui prendendo la busta. «Ma prima devo farvi vedere una cosa».
Lo seguirono nella casa che brulicava ancora di tecnici della scientifica. Attraversarono il salotto, raggiunsero la lavanderia che si affacciava sul giardino posteriore. Trovarono la porta aperta. Uscirono sotto il sole cocente. In lontananza ronzava una falciatrice.
«Abbiamo controllato tutte le finestre della casa. Sono in PVC, con tripli vetri: è praticamente impossibile entrare senza romperle in mille pezzi. Ed erano tutte chiuse dall’interno, tranne quella della camera che però è stata rotta dalla collega di Jack Hart che ha scoperto il corpo», disse Nils. Erika e Moss seguirono la direzione del suo sguardo, puntato verso il vetro infranto dall’altro lato della casa. «Non ci sono impronte, né segni di effrazione».
«E la porta di casa?», domandò Erika.
«Tutto chiuso dall’interno. Sia la serratura Yale che il catenaccio», rispose Nils. «Il colpevole deve essere entrato dalla porta di servizio».
La porta, dipinta di blu elettrico, era di legno massiccio. Nella serratura di ferro era inserita la chiave che Erika aveva trovato sulla mensola.
«Era chiusa. L’ho aperta io quando abbiamo inseguito il fotografo», disse Erika.
«Ci arrivo tra un momento», rispose Nils, richiudendo la porta. «Se guardate bene qui in basso, dal lato esterno, s’intravede una minuscola striscia di vernice vecchia». Si inginocchiarono sull’erba e osservarono la strisciolina verde spessa appena un centimetro che correva lungo il bordo inferiore.
«La porta deve essere stata ritinteggiata da poco, e in questo punto è probabile ci fosse un paraspifferi; l’abbiamo trovato fra la lavatrice e l’asciugatrice», disse Nils, aprendo la porta e rientrando nella lavanderia. Prese una lunga striscia di gomma sottile sopra la lavatrice. La posò sopra il segno verde in fondo alla porta e la tirò via di nuovo. «Vedete? Ora che l’abbiamo tolta, c’è uno spazio di appena sette millimetri fra la porta e il pavimento».
Erika si voltò verso Moss.
«Sì, ma questo non spiega come abbia fatto a entrare. A meno che non fosse l’Uomo Sottiletta», commentò Moss.
«Vi faccio vedere», rispose Nils. Chiamò un tecnico che si stava occupando delle impronte in cucina. Li raggiunse con un lungo filo di ferro e un foglio di giornale. Chiuse la porta a chiave, lasciando Nils e le due agenti fuori in giardino. Nils si inginocchiò, piegò il foglio di giornale e lo spinse sotto la porta. Poi prese il filo di ferro, lo infilò nella serratura smuovendolo un po’ e spingendo delicatamente. Erika e Moss osservavano dalla finestra la chiave all’interno che girava e saltava dalla serratura, atterrando sul foglio di giornale. A quel punto Nils tirò piano il foglio, trascinando la chiave con cui alla fine aprì la porta.
«Voilà!», disse con un sorriso trionfante.
Erika e Moss rimasero a fissarlo a bocca aperta per qualche istante. Un tombino accanto alla porta gorgogliò rompendo il silenzio.
«Sei sprecato nella scientifica! Dovresti mettere su uno spettacolo di magia tutto tuo», disse Moss.
«È eccezionale, ma come fai a essere certo che sia entrato proprio così?», domandò Erika.
«Abbiamo trovato un frammento del filo nella serratura e un pezzettino di giornale era rimasto incastrato nel legno sotto la porta», rispose Nils mostrando con un gesto plateale una busta di plastica. Conteneva un pezzo contorto di filo argentato e un brandello di giornale.
Un’immagine tornò a galla nella memoria di Erika: il bagno pieno di vapore, Mark con addosso soltanto un asciugamano stretto intorno alla vita. Premeva un pezzettino di carta igienica, grande come quel frammento di giornale, su un taglio che si era fatto con il rasoio. Il sangue lo colorava di rosso…
Il ronzio della falciatrice che ripartiva la strappò dai suoi sogni a occhi aperti.
«Sul paraspifferi avete trovato qualche impronta?», domandò Moss. Nils scosse la testa. «Ma se l’assassino è entrato con il trucco del giornale, come ha fatto poi a uscire, chiudere la porta e lasciare la chiave sulla mensola?»
«Magari l’assassino si è fatto invitare a casa con uno stratagemma, come ha fatto con Munro, ha preso la chiave, ha fatto una copia e poi l’ha sostituita», disse Moss.
«Ha senso. È un po’ contorto, ma ha senso. Ma reggerebbe in tribunale?», chiese Erika.
«Certo, insieme alle tracce che abbiamo trovato fuori dalla porta, sì. Proprio lì, nella parte inferiore», disse Nils, indicando la brillante vernice blu.
«Avete rilevato delle impronte?», domandò Erika.
Nils chiamò di nuovo il tecnico. «Non è proprio un’impronta…». E indicò un foglio bianco su cui era ritratta la sagoma perfetta di un orecchio. «Ha appoggiato l’orecchio alla porta, per ascoltare», disse Nils.
L’impronta di quell’orecchio era piccola, quasi come quella di un bambino. Nonostante il caldo soffocante, Erika aveva i brividi.