Nelle prime ore del mattino seguente – il sole non era ancora sorto del tutto – un convoglio di auto della polizia solcava il sentiero di ghiaia che attraversava il parco di Hayes. Erika si era portata tutta la squadra per setacciare il cottage, supportata da qualche agente del dipartimento. Il convoglio parcheggiò sul ciglio dell’acqua, nel punto esatto in cui due settimane prima si era messa al lavoro con l’unità subacquea. Si gelava quella mattina, e tutti si stringevano nelle loro divise invernali.
La squadra, dieci uomini in totale, ascoltò in semicerchio le direttive imposte da Erika. Poi presero una tazza di tè o caffè e osservarono lo schiarirsi del giorno, il buio che si colorava di diverse sfumature di azzurro finché l’acqua non rifletté il grigiore dell’alba nel cielo invernale.
Di tanto in tanto qualche passante con il cane al guinzaglio si affacciava tra l’erica fermandosi a curiosare, finché un poliziotto fermo a una novantina di metri dal convoglio non lo invitava a proseguire. Avevano delimitato con il nastro della polizia l’ampio fazzoletto d’erba di fronte alla cava, seguendo tutto il perimetro, compresa una grossa zona di terra incolta che girava intorno alla proprietà.
Gran parte della mattinata la impiegarono a ripulire la zona dagli sterpi e dalla vegetazione incolta, mentre nell’aria gelida risuonavano i lamenti acuti delle tenaglie.
Erika aspettava impazientemente di fronte a una camionetta della polizia, insieme a John, Moss e Peterson, che bevevano il loro tè e sbattevano i piedi a terra per scaldarsi. Qualche minuto dopo le nove, il cellulare di Erika squillò ma la chiamata s’interruppe non appena lo estrasse dalla tasca per rispondere.
«È la terza volta questa mattina che mi chiamano con un numero anonimo», disse fissando lo schermo irritata.
«Pubblicità, ci scommetto», rispose Moss, soffiando sul tè bollente. «C’è stato un periodo in cui mi chiamavano tutte le sere, non appena mi sedevo a tavola per la cena. Celia andava fuori di testa».
«Mi è arrivato pure un messaggio vuoto oggi, alle quattro e mezza del mattino. Sempre da un numero nascosto», disse Erika.
«Io lo farei controllare, capo. Non l’hai aperto, vero?».
Erika fece di no con la testa.
«Io non ho mai ricevuto SMS da un numero nascosto», commentò Peterson.
«Ah, quindi tutte le ragazze delle tue hotline ti lasciano messaggi piccanti direttamente in segreteria?», sorrise Moss.
«Ma smettila», rise Peterson.
A quel punto si avvicinò Crawford. «Di che ridiamo?», disse palesemente desideroso di essere incluso nel gruppo.
«Di Peterson e dei suoi appuntamenti bollenti», rispose Moss.
«Mi piacciono gli scherzi, ma non sono dell’umore per battutine stupide stamattina», tagliò corto Erika.
Abbassarono tutti lo sguardo. Crawford rise nervosamente.
«Ero presente entrambe le volte nel 1990, quando setacciammo la cava». Sospirò con fare drammatico e inclinò il capo verso il bordo dell’acqua. «Ti fa capire quanto scorre in fretta la vita. Avrò quarantasette anni l’anno prossimo», continuò.
«E il cottage? Ricordi se l’hanno controllato entrambe le volte?», domandò Erika.
«Non trovammo nulla, pensammo che fosse abbandonato».
«Ma Bob Jennings ci viveva», disse Peterson, soffiando sul tè caldo.
«Sì, ma sapete come funziona con gli abusivi, non sai mai se ci sono o no. Vivono nello squallore, capite? Per questo li chiamano anche squatter». Alzò lo sguardo verso Moss. «Qualcuno vuole altro tè? Sto andando a prenderlo».
Fecero tutti di no con la testa e Crawford si allontanò. Il ronzio dei tosaerba era persistente.
«Mi irrita proprio», disse Peterson.
«Mi parla come se fosse il mio superiore, ma in realtà abbiamo lo stesso grado», commentò John.
«Non preoccuparti, bello. Presto ti promuoveranno e sarai tu il suo superiore», rispose Peterson.
«Ha questo modo di scherzare così fastidioso, sempre con le sue battutine da so tutto io», aggiunse Moss.
Erika non disse che lo aveva visto tornare alla centrale sabato con aria sospetta. Ma era decisa a tenerlo d’occhio.
Il ronzio si fece improvvisamente più intenso. Un rumore sordo di legno spezzato, poi un grosso blocco di sterpaglia cadde a terra, scoprendo un’ampia porzione di casa. Si voltarono a guardare un altro ammasso di vegetazione che veniva giù.
«È messa meglio di quanto pensassi», disse Peterson. La canna fumaria era crollata, ma il tetto sembrava ancora integro. Quasi tutti i vetri delle finestre erano infranti ma i telai erano intatti.
«Avete avuto fortuna con la compagnia elettrica?», domandò Erika.
«Lo stabile è effettivamente fuori dalla rete. Niente elettricità. Tuttavia è dotato di acqua corrente e fossa biologica», rispose Peterson.
Crawford apparve alle loro spalle con una nuova tazza di tè e s’intromise nel discorso: «Nella fossa biologica potrebbero esserci ancora delle prove. Sempre che non l’abbiano svuotata».
«Giusto. Ci pensi tu a trovarla e a esaminarla?», domandò Erika.
«Ehm, io, ecco, speravo di unirmi alle ricerche dentro la casa», protestò Crawford.
«No. Preferirei che guidassi quest’altra operazione: porta un paio di agenti con te. Ci sono guanti e tute protettive nella camionetta».
«Certo, capo», rispose Crawford allontanandosi con un’espressione amareggiata.
Moss e Peterson guardarono da un’altra parte, cercando di non ridere.