Il sole si era inabissato all’orizzonte e le strade erano accarezzate da un venticello fresco. Simone camminava velocemente sul marciapiede. Aveva lo zaino in spalla, indossava una tuta nera.
Alcuni lampioni erano spenti. Attraversò di corsa la pozza di luce arancione proiettata per terra, rallentando il passo appena tornò nell’ombra. Era nervosa. Si era quasi fatta sera, e le case a schiera intorno a lei sembravano brulicanti di vita. Luci accese, musica che si alzava dallo stereo. Da una finestra aperta in alto si sentiva qualcuno che litigava, ma lei intravedeva solo una lampadina che pendeva dal soffitto.
Simone tenne la testa bassa quando incrociò un uomo. Era alto e magro e camminava velocemente. Il cuore le batteva forte. Lo sconosciuto le veniva incontro. Persino la cicatrice cominciò a pulsarle, come se fosse irrorata da un fiotto di sangue. Solo quando l’uomo le arrivò proprio di fronte si accorse che indossava una tuta da ginnastica. La superò senza nemmeno voltarsi a guardarla, con le cuffiette che suonavano una musica squillante. Doveva calmarsi, mantenere il controllo.
Simone sapeva qual era il civico, ma per fortuna non doveva sforzarsi troppo per cercarlo: i numeri erano dipinti in tinte accese sui bidoni dell’immondizia nelle piccole corti di cemento.
Avanzò, senza la solita fretta. Senza la solita rabbia, la solita eccitazione.
Alla fine trovò la casa. Si avvicinò alla finestra, fece un respiro profondo e posò le mani esili sul davanzale. Si lanciò un ultimo sguardo intorno, si tirò su.