Era appena calata la sera e Isaac Strong era nel suo ufficio accanto all’obitorio. Nell’aria risuonavano le note dell’album Performance di Shirley Bassey e lui si apprestava a scrivere il rapporto sull’autopsia di Ivy Norris. Si stava godendo quel momento di tranquillità. La sua musica preferita, le luci basse nell’ufficio: che contrasto con la violenza di aprire in due un corpo, pesare i suoi organi, analizzare il contenuto di intestino e stomaco, frugare e grattare in cerca di tracce di DNA e stilare una lista delle brutalità inflitte a quel cadavere. Fino a formare una storia. Il racconto della sua fine.
Accanto allo schermo c’era una fumante tazza di tè alla menta, le foglioline ancora vorticavano nell’acqua appena versata. Si udì un sommesso bip e sul computer si aprì una finestra. Era un’immagine delle telecamere di sicurezza, mostrava la detective Erika Foster nell’atrio di fronte al laboratorio. La vide alzare gli occhi verso la telecamera. Isaac esitò un istante, poi le aprì.
«È una visita ufficiale?», le chiese andandole incontro sulla porta del laboratorio.
«No», disse lei sistemandosi la borsa sulla spalla. Indossava dei jeans e un maglione. Aveva il volto stanco e struccato e osservava curiosa l’acciaio intorno a sé.
«Ufficialmente non ha alcuna autorità e non dovrebbe essere qui. È stata rimossa dal caso».
«Già. Niente distintivo, niente volante. Sono solo una tizia qualunque».
Isaac rimase in silenzio per un attimo e la squadrò. «Allora che ne pensa di una tazza di tè?».
La guidò nel suo ufficio, dove nel frattempo stava andando The Girl From Tiger Bay. Erika scelse una poltrona comoda accanto alla scrivania. Isaac andò al bollitore piazzato su un tavolo in un angolo. Il suo ufficio era ordinato e stracolmo di libri, con un iPod che lampeggiava inserito in uno stereo Bose. Lo scaffale accanto allo stereo era diverso dagli altri, pieni di manuali di medicina. Lì erano allineati dei romanzi, per lo più thriller polizieschi.
«Spero che nel suo tempo libero non legga di verbali e indagini», disse Erika.
Isaac, che stava accendendo il bollitore, si voltò e le rivolse una risata sarcastica. «No, sono copie omaggio mandate dall’editore. Ho fatto da consulente in un paio di libri del detective Bartholomew… Le piace il tè alla menta? Cerco di evitare la caffeina».
«Va benissimo. Anche io avrei dovuto evitarla oggi. Disse la donna che si era scolata quattro caffè».
Accanto a una finestrella c’era una piantina di menta. Isaac ruotò il vaso e staccò un paio di foglie.
«Stephen Linley, l’autore del detective Bartholomew, è il mio ex», le spiegò.
«Oh».
«“Oh è gay”, oppure “Oh, che strano stare con qualcuno che scrive thriller polizieschi”?»
«Nessuna delle due».
Isaac lasciò cadere le foglie di menta nella tazza e attese accanto al bollitore.
«In effetti è un po’ strano stare con qualcuno che scrive polizieschi», disse Erika.
L’acqua stava bollendo e Isaac la versò nella tazza. «Uno degli psicologi forensi dei suoi libri è ispirato a me. Quando ci siamo lasciati l’ha fatto fuori».
«Come?»
«Medico gay picchiato e scaricato nel Tamigi».
«Triste ma vero: ferisce più la penna che la spada», disse Erika prendendo la tazza fumante.
Isaac si sedette e ruotò la sedia per guardarla in faccia. «C’erano due diversi tipi di sperma nella vagina di Ivy Norris. Aveva le braccia legate ed è stata strangolata. L’aggressore non se ne era andato da molto. Lei era morta da meno di un’ora».
«Trovato qualche riscontro del DNA nel database?»
«Abbiamo confrontato entrambi i campioni di sperma, ma non è uscito fuori niente». Erika annuì e involontariamente abbassò lo sguardo sul dorso della propria mano.
«Quello è il segno di un morso?», chiese Isaac.
«Sì. Il nipote di Ivy».
«Ho avuto i risultati degli esami del sangue di Ivy. Era un’eroinomane e aveva l’HIV. È possibile che l’abbia trasmessa a suo nipote».
«Mi ha lacerato la pelle quando mi ha morsa», disse Erika sorseggiando il tè.
«Allora le consiglio di fare il test per l’HIV». Isaac scrisse un numero di telefono su un pezzo di carta e glielo porse. «Questo è l’ambulatorio dove vado a farmi le analisi, non c’è bisogno di prenotazione. Sono veloci, precisi e anonimi. Possono volerci dai tre ai sei mesi prima che il virus si manifesti, perciò dovrà rifare il test».
«Grazie».
«Cosa farà?»
«Devo sostenere un’udienza formale. Una valutazione psichiatrica. E di sicuro un esame medico».
«Intendevo dire se le diagnosticano l’HIV…».
«Ci penserò se succederà. In questo momento la paura di morire è piuttosto in basso nella mia lista di priorità».
L’album era finito e nella stanza calò un gradevole silenzio. Isaac guardò Erika. Non sapeva se parlare o meno.
«Non abbandoni questo caso», disse infine.
«Credo che il caso abbia già abbandonato me», disse Erika.
«Ho dato un’occhiata ai miei archivi. Ho trovato tre casi di autopsie che ho eseguito personalmente in cui le vittime erano ragazze dell’Est Europa. Si pensa fossero finite in un giro di tratta di esseri umani qui in Gran Bretagna. Tutte e tre sono state violentate e strangolate, con le mani legate e gettate in acqua alla periferia di Londra. Capelli strappati, nude dalla vita in giù».
«Cosa? Quando?», chiese Erika.
«La prima è stata trovata a marzo del 2013, la seconda a novembre e la terza a febbraio 2014. Poco meno di un anno fa».
«Cosa? E perché nessuno l’ha segnalato?», chiese Erika protendendosi in avanti.
«Spesso le circostanze impediscono di mettere insieme gli indizi. Purtroppo le tre ragazze erano prostitute, che lo avessero scelto o meno. I loro casi si sono persi tra gli altri omicidi. Ben poche persone si sorprendono se una prostituta fa una brutta fine. Nessuno ha mai messo in collegamento i casi, che sono rimasti aperti da allora».
«Delle povere prostitute dell’Est strangolate… be’ capita. Giovane figlia di un milionario strangolata…».
«Già, l’effetto è parecchio diverso, vero?», concordò Isaac.
«Perché non me l’ha detto prima?», chiese Erika.
«Qualcosa nell’omicidio di Ivy mi ha acceso una lampadina. L’assassinio di Andrea era diverso perché lei non era stata violentata. Comunque. Le altre tre ragazze sono state trovate in avanzato stato di decomposizione ed erano prostitute. È possibile che siano state violentate, ma non quando sono state uccise. Anche Ivy Norris era una prostituta e abbiamo rilevato due tipi di sperma. È possibile che l’assassino non abbia violentato neanche lei».
«Che cazzo!», disse Erika alzandosi in piedi. «Questa sì che è una svolta nelle indagini. Quattro morti collegate a quella di Andrea».
«Ovviamente ho passato immediatamente queste informazioni al detective Sparks».
«Quando?»
«Ieri mattina».
«E lui cosa ha detto?»
«Niente. Credo che sia concentrato sul suo sospettato principale, quel ragazzo italiano».
«Dovrebbe almeno far circolare questi dati, controllare dov’era Marco Frost al momento di questi omicidi. Cazzo. Posso vedere il fascicolo?»
«No».
«No?»
«Avevo pensato di farle sapere queste notizie. E avevo deciso di non farlo. Poi lei si è presentata qui e, be’, in genere il mio istinto non si sbaglia sulle persone…». Lanciò un’occhiata allo scaffale dei thriller. «Be’, a parte in ambito sentimentale».
«La prego, posso vedere i fascicoli?»
«No, mi dispiace. Credo che la stampa sia stata molto ingiusta con lei, ma è vero che ha bisogno di darsi una calmata. Di pensare in maniera strategica. Non può recuperare qualche informazione dai suoi colleghi?»
«Forse. Davvero lei non mi dirà di più?».
Isaac prese un taccuino. «Le darò i loro nomi e le date di nascita. Ma non voglio essere coinvolto in questa storia. Ha capito?»
«Promesso», disse Erika.
Dalle telecamere di sicurezza Isaac guardò Erika affrettarsi lungo il corridoio, stringendo in mano la lista con i nomi. Sperava davvero che mantenesse la sua promessa.