La centrale operativa rimase piuttosto tranquilla dopo la conferenza stampa. Gli agenti gironzolavano qua e là, rispondendo alle occasionali telefonate. C’era un’atmosfera carica di aspettative. Le poche chiamate erano dei soliti perditempo.
«Cazzo, pensavo che a quest’ora qualcuno avrebbe già telefonato con qualche informazione utile», disse Erika guardando l’orologio. «Non ce la faccio più, vado a fumarmi una sigaretta».
Era appena arrivata sui gradini della stazione quando il detective Crane comparve alle sue spalle.
«Capo, abbiamo una chiamata che non ti vorrai perdere», disse.
«Chi è?», chiese Erika.
«Una ragazza che dice di essere Barbora Kardosova, la ex migliore amica di Andrea», disse Crane.
Erika rientrò di corsa e prese la telefonata.
«È l’agente di polizia che ho visto in televisione oggi pomeriggio?», chiese una voce femminile, giovane e con l’accento dell’Est.
«Sì. Sono il detective ispettore capo Erika Foster. Hai delle informazioni su George Mitchell?»
«Sì», disse lei. «Ma non posso parlare al telefono».
«Posso assicurarti che tutto quello che ci dirai sarà trattato con totale discrezione», disse Erika. Abbassò lo sguardo e vide che la chiamata arrivava da un numero privato. Lanciò un’occhiata a Crane, che annuì per segnalarle che era già all’opera per rintracciarlo.
«Mi dispiace, per telefono non dico niente», disse la ragazza con voce tremante.
«Okay, va bene. Possiamo incontrarci?», chiese Erika. «Dove vuoi tu».
Peterson scrisse qualcosa in fretta e furia sul suo taccuino. Poi tirò su un foglio su cui aveva scritto: LA FAI VENIRE QUI ALLA STAZIONE?
«Sei a Londra? Ti andrebbe di venire alla stazione di polizia di Lewisham Row?»
«No… No, no…». Adesso la ragazza sembrava in preda al panico. Ci fu una pausa. Erika alzò lo sguardo su Crane, che le disse che la chiamata arrivava da un telefono usa e getta.
«Barbora, sei ancora lì?»
«Sì, non vi dico altro al telefono. Devo parlarvi, dirvi delle cose. Ci vediamo domattina alle undici. A questo indirizzo…».
Erika lo annotò e provò a farle qualche altra domanda, ma la comunicazione si interruppe.
«Telefono usa e getta capo, che sfiga», disse Crane.
«Sembrava davvero agitata», disse Erika posando il ricevitore.
«Dove vuole incontrarti?», chiese Peterson. Erika digitò l’indirizzo sul computer, sullo schermo comparve un’immagine di Google Maps. Una vasta distesa verde.
«Nel Norfolk», disse Erika.
«Nel Norfolk? E che diavolo ci fa lì?», chiese Moss.
Il cellulare di Erika squillò, era Edward. «Scusate, devo rispondere. Potete calcolare l’itinerario, così poi decidiamo come muoverci?», disse uscendo dalla centrale.
Il corridoio era silenzioso. Rispose.
«Allora, ragazza mia, deduco che non vieni più», disse Edward. Erika si accorse che erano le cinque passate.
«Mi dispiace… Non mi starai mica aspettando alla stazione?»
«No, ti ho vista in televisione oggi pomeriggio e ho pensato che non saresti mai stata qui per le cinque. A meno che tu non sappia volare».
Erika ripensò a quella mattina, le parevano passati mille anni.
«Sei stata brava alla conferenza stampa, tesoro», disse Edward. «Mi hai fatto pensare a quella ragazza, Andrea. I giornali non l’hanno trattata molto bene, vero?»
«Grazie. È successo tutto all’improvviso. Mi hanno chiamata stamattina, quando stavo per salire sul treno e…».
«E ti sei lasciata trascinare, eh?»
«Sì», disse Erika a bassa voce.
«Senti cara, fa’ quello che devi fare. Io ci sarò sempre per te».
Moss comparve sulla porta e le fece cenno che aveva bisogno di parlarle.
«Scusami, devo andare. Posso richiamarti?», chiese Erika.
«Sì, tesoro. Abbi cura di te, okay? Prendi quel tizio, fallo rinchiudere e butta via la chiave».
«Lo farò», disse Erika. Poi sentì un clic. Edward aveva riattaccato. «Lo farò, ti prometto che lo farò», ripeté.
Poi fece un profondo respiro e rientrò nella centrale operativa. Quando sarebbe riuscita a onorare quella promessa?