Erano le sei e mezzo del mattino quando Erika salutò Peterson sul lungomare davanti all’appartamento di Keith. La tristezza che la assalì improvvisamente la sorprese. Quando il taxi accostò, Peterson la salutò con un abbraccio inaspettato.
«Abbraccio veloce!», sorrise. «Mi sa che puzzo parecchio!».
«No… Be’, un po’ sì. Ma probabilmente puzzo anch’io», disse Erika ricambiando il sorriso.
Lui scosse la testa e aggiunse: «Tienimi aggiornato, capo».
«Lo farò», rispose lei. Peterson incrociò le dita e montò sul taxi che si allontanò velocemente.
Erika attraversò la strada, raggiungendo la spiaggia. Stava iniziando una nuova, meravigliosa giornata. In quelle prime ore del mattino il sole non batteva forte e l’aria era ancora fresca. La spiaggia era deserta, a parte un paio di persone a spasso con il cane e un giovane che sistemava le sdraio da affittare. Erika raggiunse il bagnasciuga, guardò le onde che lambivano i sassolini. Fece un respiro profondo e telefonò a Marsh. Lo chiamò direttamente a casa e rispose Marcie. Non sembrava particolarmente felice di sentire la sua voce. Non si perse in convenevoli, lasciò la cornetta sul tavolo e si allontanò chiamando il marito dalle scale. Erika lo sentì scendere con passo pesante e afferrare la cornetta.
«Erika, spero che tu sia in riva al mare e mi stia chiamando per sapere a quale indirizzo inviarmi una cartolina», disse Marsh.
«Be’, a questo proposito signore…», rispose Erika. «In effetti non sono a Londra. La chiamo da Worthing».
«Worthing? E che diavolo ci fai là?».
Erika tagliò corto e gli spiegò di aver fatto una scoperta sensazionale sul caso. Gli raccontò nei dettagli l’incontro che aveva programmato quel giorno alla stazione di Waterloo.
«Quindi hai disobbedito ai miei ordini, di nuovo?», disse Marsh.
«Questo è tutto quello che ha da dire, capo? Si tratta di una svolta ENORME. Mi rendo conto che avrei dovuto dirglielo prima, ma sa bene anche lei che agisco in base al mio istinto. Ora, abbiamo bisogno di mettere sotto sorveglianza la stazione. Il prima possibile. Uomini dentro e fuori Waterloo. Credo davvero che potrebbe presentarsi all’appuntamento, e dobbiamo farci trovare pronti. Ho le prove delle numerose conversazioni fra lei e quest’uomo, Keith Hardy. Nelle chat lui si fa chiamare “Duca”, mentre lei è “IlGufo”».
«Moss e Peterson dove sono?»
«Sono stati riassegnati. Sono venuta qui da sola, signore».
Ci fu una lunga pausa.
«Erika, sei così ingenua. Ti comporti sempre come se non esistessero regole, come se non dovessi rendere conto a nessuno».
«Ma, signore, questa è una svolta per il caso. Una svolta fondamentale! Appena torno in albergo le mando tutto – i dettagli dell’incontro, le chat. Abbiamo toccato soltanto la punta dell’iceberg: questo tizio, Keith, parla con lei da quattro anni. Siamo in possesso dello storico delle conversazioni. Ho motivo di credere che sia stata una paziente di Gregory Munro. È andata da lui per delle ustioni gravi. Potremmo usare questa informazione per riesaminare i registri medici».
«D’accordo, mandami tutto non appena riattacchi».
«Certo».
«E, Erika, fatti una bella vacanza e pensa seriamente alla tua posizione professionale. È un ordine. Se ti vedo gironzolare intorno alla stazione di polizia, qualsiasi stazione di polizia, sarai sospesa. E non pensare che ti sarà facile riottenere il distintivo per la quarta volta! Soprattutto, non provare nemmeno ad avvicinarti a Waterloo. Sappi che se disobbedisci ai miei ordini sei licenziata. Mi hai sentito bene?»
«Questo significa che procederete? Signore?»
«Ti chiamo più tardi», disse Marsh. E riagganciò senza aggiungere altro.
Nonostante la tirata d’orecchie, era innegabile che la voce del sovrintendente fosse incrinata dall’emozione.
«Ti prenderemo, Gufo. Ti prenderemo», mormorò Erika. Rimase seduta per qualche istante in riva al mare, fissando l’orizzonte. L’adrenalina le scorreva nelle vene.