Aveva trascorso gli ultimi giorni nella frustrazione più totale. Il successo era stato così vicino… e poi la precipitosa ritirata. La figura ribolliva di rabbia. E non solo la detective Foster era sopravvissuta, ne era anche uscita più forte di prima.
L’hanno rimessa sul caso, cazzo!
Dopo aver assistito all’appello lanciato da Lewisham Row, in cui la detective Foster aveva pubblicamente messo in relazione tra loro i vari omicidi, la figura era dilaniata dal dubbio. Aveva provato l’istinto di scappare lontano e ricominciare, ma aveva anche bisogno di chiudere quella faccenda. Avevano fatto il collegamento, ma la polizia non aveva ancora niente in mano. Su questo non aveva dubbi.
Perciò alle sei del pomeriggio guidò fino alla stazione di Paddington, nella zona in cui i taxi scaricavano e caricavano passeggeri e dove si aggiravano certe ragazze…
La tipa parve confusa quando la figura accostò con la macchina. Era ferma sulla stradina angusta dove i taxi facevano inversione di marcia. E dove andava la gente in cerca di un po’ di divertimento.
«Posso farti divertire se vuoi», disse lei, come in automatico. Era una ragazza magra con un forte accento dell’Est. Tremava con addosso soltanto i leggings aderenti, una canottierina e una grossa pelliccia finta. Aveva tratti marcati, era pallida, capelli lisci lunghi fino alle spalle. Sugli occhi aveva dell’ombretto glitterato e masticava una gomma. Si appoggiò a un cassonetto per l’immondizia, in attesa di una risposta.
«Vorrei divertirmi un po’, sì… una cosa diversa, insolita».
«Ah sì? Be’, la roba insolita costa di più».
«Conosco il tuo capo», disse la figura.
Lei lo prese in giro. «Sì, dicono tutti così… se vuoi uno sconto puoi anche toglierti dalle palle», disse, e si girò.
La figura si protese in avanti e disse un nome. Lei si fermò e tornò al finestrino, lasciando perdere l’aria da seduttrice. Aveva la paura negli occhi. Paura circondata da glitter.
«Ti manda lui?», chiese guardando le macchine che sfrecciavano superandoli.
«No. Ma sa che gli procuro un sacco di affari… perciò si aspetta che ottenga quello che voglio».
La ragazza socchiuse gli occhi. Aveva un buon istinto. Forse sarebbe stato più difficile del previsto.
«Quindi ti presenti e butti là il nome del mio capo. Cosa vuoi che faccia?»
«Mi piace farlo all’aperto», disse la figura.
«Okay».
«E mi piace che la ragazza finga di essere spaventata…».
«Vuoi dire che ti piace giocare allo stupro?», disse lei senza tanti giri di parole, alzando gli occhi al cielo. Poi si guardò intorno e abbassò la canottiera, mostrandogli i seni piccoli e graziosi. «Ti costerà di più».
«Posso permettermelo», disse la figura.
Lei si tirò su la canottiera. «Ah sì? Fammi vedere».
La figura tirò fuori il portafoglio e lo aprì, mettendoglielo sotto il naso. Un bel fascio di banconote scintillava sotto la luce dei lampioni.
«Cinquecento. E stabiliamo una parola di sicurezza», disse lei tirando fuori un cellulare dai leggings. La figura sporse un braccio e coprì il telefono con la mano.
«No, no, no. Voglio che sia più vero possibile. Sempre nei limiti di una fantasia. Nessuno deve sapere dove sei».
«Ma devo chiamare».
«Altri cinquecento. Neanche il tuo capo deve saperlo».
«Non esiste. Se lo scopre, con lui non c’è parola di sicurezza che tenga».
«Okay. Giochiamo a carte scoperte. Duemila. E la parola di sicurezza è Erika».
«Erika?»
«Sì. Erika».
La ragazza si guardò intorno e si morse il labbro. «Okay», disse. Aprì la portiera e salì in macchina. La figura partì e attivò la chiusura centralizzata. Le disse che anche quello faceva parte del gioco.