A Laurel Road regnava la quiete quando Erika infilò la chiave nella serratura e rimosse il nastro della scena del crimine dalla porta di casa di Gregory Munro. Aprì il chiavistello e diede una piccola spinta, liberando la porta dai rimasugli dei sigilli appiccicosi. Non appena entrò nel corridoio, partì un rumore elettronico, forte e insistente. Nel buio vide il pannello luminoso del sistema di allarme.
«Merda», mormorò. Non aveva pensato che dopo gli esami della scientifica l’allarme sarebbe rimasto attivo. Fissò lo schermo del pannello, consapevole di avere soltanto pochi secondi prima che partisse la chiamata alla stazione di polizia. Gli agenti si sarebbero presentati con una pila di scartoffie da compilare e una serie di domande poco piacevoli a cui lei avrebbe dovuto rispondere. Inserì la combinazione 4291 e l’allarme si disattivò. Era il codice di sicurezza che usavano sempre per ripristinare i sistemi di allarme sulle scene del crimine. Non era proprio il metodo più ortodosso di procedere, ma così risparmiavano un sacco di soldi eliminando le chiamate di emergenza.
Il caldo era soffocante e nell’oscurità aleggiava ancora la puzza di carne marcia lasciata dal corpo di Gregory Munro. Erika premette l’interruttore e il corridoio s’illuminò all’istante rivelando la sagoma delle scale. Si chiese che effetto le avrebbe fatto quella casa se non avesse saputo che era una scena del crimine. Ma ai suoi occhi la violenza si riverberava in ogni angolo.
Superò le scale ed entrò in cucina. Trovò subito il dettaglio che l’aveva colpita nella foto: la bacheca di sughero accanto al frigo su cui erano stati attaccati diversi volantini di ristoranti takeaway, una lista della spesa scritta a mano e la locandina di una compagnia di sicurezza, la GUARDHOUSE ALARMS.
Erika staccò il foglio dalla bacheca. L’impostazione era professionale, ma il volantino era stato stampato con una semplice stampante a inchiostro. Lo sfondo era completamente nero e la scritta «GuardHouse Alarms» spiccava a caratteri rossi. L’H di House si allungava in alto prendendo la forma di un feroce pastore tedesco. Erika si rigirò il volantino fra le mani. In basso, sul retro, qualcuno aveva scritto con una biro blu: MIKE, 21 GIUGNO ORE 18:30.
Erika estrasse il cellulare e chiamò il numero segnato sul foglio. Silenzio. E poi un segnale acustico seguito da una risposta automatica, che la informava che quel numero non era più attivo. Raggiunse l’ampia porta finestra in fondo alla stanza e, dopo aver armeggiato un po’ con la maniglia, la aprì con un leggero fruscio. Uscì sul terrazzo. Sulla parete sopra la porta finestra c’era una scatola bianca su cui era scritto, in caratteri rossi, TELECAMERA DI SICUREZZA. Identica a quella fuori dal suo appartamento.
Tornò dentro e chiamò immediatamente Crane. Quando rispose sentì in sottofondo il rumore di un televisore sparato a tutto volume.
«Scusa se ti chiamo a quest’ora, Crane. Sono l’ispettore Foster. Puoi parlare?», gli chiese.
«Un attimo solo», rispose lui. Un fruscio, il suono della TV che si faceva via via più lontano.
«Scusa ancora. Ti ho preso in un brutto momento?»
«No, anzi. Mi hai appena salvato da Real Housewives of Beverly Hills. Karen, la mia ragazza, lo adora ma io devo già sorbirmi le rogne al lavoro e non mi va di ascoltare quelle di un mucchio di casalinghe quando torno a casa. Comunque, cosa posso fare per te, capo?»
«Gregory Munro. Ho dato uno sguardo ai tabulati telefonici. A quanto pare ha chiamato una compagnia di sicurezza, la GuardHouse Alarms, il diciannove giugno».
«Aspetta, accendo il computer. Sì, eccola, GuardHouse Alarms. È fra i numeri che ho cercato di rintracciare questa mattina».
«E?»
«Ho lasciato un messaggio in segreteria e un tizio mi ha richiamato confermandomi che un certo Mike era andato da Munro. Ha controllato che i sistemi e le luci di sicurezza fossero a posto».
«Che impressione ti ha fatto il tipo al telefono?»
«Non saprei, normale. Per quanto normale sia un concetto labile di questi tempi. Aveva una voce un po’ affettata, da snob so tutto io. Perché?»
«Ho appena provato a chiamare il loro numero. Inesistente. L’hanno disattivato», spiegò Erika.
«Come?». Seguì qualche momento di silenzio, infranto solo dal suono delle dita di Crane sulla tastiera del computer. E poi un tintinnio elettronico.
«Ho appena inviato un’email all’indirizzo sul volantino e mi è tornata indietro. C’è un errore nel sistema, il messaggio non può essere consegnato», disse Crane.
Erika tornò nel giardino buio e osservò la telecamera di sicurezza fissata al muro.
«Santo cielo, capo. Pensi che sia lui l’assassino?»
«Sì. Il volantino probabilmente è stato consegnato a mano. Gregory Munro deve aver chiamato il numero e organizzato un incontro con questo Mike…».
«E Mike una volta entrato ha avuto accesso alla piantina della casa, al sistema di sicurezza, al contatore e a tutto il resto», finì per lei Crane.
«È probabile che tu abbia parlato proprio con Mike oggi. Ti ha richiamato dal numero della GuardHouse Alarms».
«Merda. Che cosa vuoi che faccia adesso, capo?»
«Dobbiamo localizzare il telefono e l’indirizzo mail il prima possibile».
«Scommetto che si tratta di una scheda prepagata, ma farò comunque un tentativo».
«Dobbiamo risentire tutti gli abitanti di Laurel Road e ottenere qualche informazione sui fattorini che sono stati avvistati in zona. In particolare dobbiamo capire se qualcuno ha visto arrivare questo Mike il ventuno giugno».
«Certo, capo. Comincio le ricerche immediatamente. Ti tengo informata».
«Grazie», fece lei. E poi Crane terminò la chiamata con un click. Erika raggiunse la recinzione in fondo al giardino, camminando sull’erba secca. Era tutto immobile e silenzioso, si sentiva soltanto il lieve ronzio delle auto in lontananza e il canto dei grilli. Un treno le sfrecciò davanti materializzandosi dal nulla, rombando ferocemente sulle rotaie e spaventandola a morte.
Si avvicinò ancora di più alla recinzione e si abbassò accanto all’albero per studiare per bene il punto in cui la rete era stata recisa con cura. Spostandola da parte, Erika strisciò attraverso l’apertura e si ritrovò su un sentiero sommerso dall’erba lunga e secca. Restò ferma per qualche secondo, lasciando ai suoi occhi il tempo di abituarsi all’oscurità di quella calda notte. Attraversò il sentiero sterrato che si insinuava fra gli alberi, sbucando di fronte ai binari del treno. Riusciva a scorgere le rotaie che si perdevano in lontananza. Tornò sul sentiero e accese la torcia del cellulare, spostandola a destra e sinistra. Il sentiero era illuminato per un paio di metri, poi veniva inghiottito dall’oscurità. Erika si accovacciò dietro l’albero in fondo al giardino e osservò la casa, che sembrava restituirle lo sguardo – le due finestre al piano di sopra erano come due grandi occhi scuri.
«Era da questo punto che lo spiavi?», bisbigliò Erika fra sé e sé. «Per quanto tempo sei rimasto qui? E cosa hai visto? Non te la caverai. Sto venendo a prenderti».