Più tardi Erika telefonò a Lee Graham, un vecchio collega della Metropolitan Police che era recentemente passato alle forze dell’ordine del Sussex. Gli chiese di raggiungerli a Worthing per dare uno sguardo al computer di Keith. Lee era un informatico giovane e brillante, pieno di passione.
Un paio d’ore più tardi, Lee, Erika, Peterson e Keith erano tutti ammassati nel minuscolo soggiorno di Worthing.
«D’accordo, in pratica adesso il computer di questo qui…», cominciò a spiegare Lee.
«Mi chiamo Keith», lo interruppe il padrone di casa lanciandogli uno sguardo torvo.
«Va bene. Allora, adesso il computer di Keith è collegato a questi due», disse passando una coppia di portatili a Erika. «Potrete vedere che cosa accade in diretta e anche entrare nella conversazione e scrivere in qualsiasi momento, senza che l’interlocutore di Keith se ne accorga».
«Grazie», disse Erika.
«Posso connetterlo anche al mio, così da monitorare la chat da remoto nel mio ufficio. Potrei provare a risalire alla posizione del Gufo, ma se davvero usa Tor è tecnicamente impossibile».
«Come funziona questo Tor?», domandò Peterson.
«Quando usi internet per una sessione normale, per mandarmi una mail per esempio, il messaggio parte dal tuo computer e arriva al mio tramite un server. Grazie all’indirizzo IP, entrambi possiamo sapere dove si trova l’altro. L’indirizzo IP non è altro che una serie unica di numeri separati da punti che identificano i computer che comunicano tramite il protocollo di rete. Usando come browser Tor, il traffico online viene reindirizzato tramite una rete di computer libera di tutto il mondo. Ci sono più di settemila dispositivi che fungono volontariamente da relay per nascondere la posizione e l’attività di un utente. In questo modo è impossibile sorvegliare l’attività online o condurre analisi sul traffico».
«Lo chiamano onion computing, perché ci sono diversi strati di relay, come in una cipolla», aggiunse Keith.
«Esatto. Tor rende più complicato tracciare l’attività online e ricondurla a un utente preciso. E questo comprende anche le visite a siti web, i servizi di messaggistica e qualsiasi altra forma di comunicazione», disse Lee.
«E tutti possono scaricare Tor?», domandò Erika.
«Sì. È gratis e si trova facilmente online», rispose Lee. «Per noi è un incubo».
«Se non potete risalire alla posizione del Gufo, perché dovete spiarmi mentre chatto con lei?», chiese Keith.
Erika e Peterson si guardarono.
«Vogliamo che organizzi un incontro», rispose Erika.
«No, no, non posso… Mi dispiace. No».
«Devi», disse Peterson con un tono che non ammetteva repliche.
«Alla stazione ferroviaria di Waterloo», aggiunse Erika.
«Come faccio a convincerla a incontrarmi così all’improvviso?», disse Keith, ormai in preda al panico.
«Inventati qualcosa», disse Peterson.
«Ho notato che hai salvato tutte le tue conversazioni con il Gufo», disse Lee. «Le ho copiate anche sui vostri dispositivi», aggiunse rivolgendosi a Erika e Peterson.
«Ma… erano conversazioni private!», protestò Keith.
«Ehi, abbiamo un accordo. Ricordi?», ribatté Erika.
Keith annuì nervosamente.
Quando ebbero sistemato ogni cosa, Erika e Peterson uscirono dall’appartamento per salutare Lee. Fuori l’aria era ancora calda e dalla spiaggia arrivava il suono acuto delle canzoncine di uno spettacolo di marionette.
«Ho anche copiato le informazioni dell’hard disk. Controllerò se c’è qualcosa di losco», disse Lee raggiungendo la macchina parcheggiata lungo il marciapiede. Aprì il portabagagli e infilò la borsa. «Tante volte vorrei che internet non fosse mai stato inventato. Ci sono troppe persone con troppo tempo a disposizione per le loro fantasie malate».
«A quanto pare ogni volta che ci vediamo ti affibbio un compito sgradevole», disse Erika. «Grazie di tutto».
«Magari la prossima volta potremmo vederci al di fuori del lavoro», rispose Lee sorridendole.
Peterson li fissò entrambi, mentre Erika arrossiva. «Grazie ancora!», esclamò alla fine.
«Nessun problema. Spero di avervi aiutato a trovare quella maledetta psicopatica. Sarò raggiungibile online quando accenderete i computer», disse prima di salire in macchina.
«Non credevo che vi conosceste così bene», commentò Peterson mentre guardavano Lee allontanarsi.
«E a te cosa importa?», chiese Erika.
«Niente», rispose Peterson alzando le spalle.
«Bene, torniamo dentro adesso. Prima che Keith ci ripensi».