La camera da letto di Andrea era ampia e ben ammobiliata, come il resto della casa. Tre finestre a ghigliottina lungo la parete si affacciavano sul prato che pullulava di giornalisti. Linda si avvicinò per chiudere le persiane. I fotografi sotto di lei entrarono in azione con una raffica di click. Linda sbatté le persiane di scatto.
«Bestie. Ma non possiamo farci niente. Siamo intrappolati qui dentro. David si lamenta perché non può nemmeno fumarsi una sigaretta in terrazza. Papà dice che potrebbe dare una cattiva impressione».
Le persiane erano massicce e la stanza era sprofondata nell’oscurità. Linda accese la luce. La finestra al centro era la più grande. Sotto c’era un’enorme scrivania di legno lucido. Era ordinata e ben organizzata, e ospitava una quantità inimmaginabile di prodotti per il make-up: un enorme porta pennelli ed eyeliner, flaconcini di smalto di vari colori, pile di fondotinta, rossetti disposti in fila come sull’attenti. Appesi a un angolo dello specchio c’erano diversi pass e biglietti di concerti: Madonna, Katy Perry, Lady Gaga, Rihanna, Robbie Williams.
Tutta la parete sulla destra era occupata da un armadio. Erika aprì l’anta scorrevole e dall’interno emerse l’odore di Chanel Chance. Era un armadio costoso, pieno di abiti di lusso, per la maggior parte minigonne e vestitini. Il fondo era coperto di scatole di scarpe.
«Andrea percepiva un mensile?», chiese Erika mentre passava in rassegna i vestiti.
«Quando ha compiuto ventun anni ha avuto accesso al suo fondo fiduciario, come me. David invece deve ancora aspettare, il che ha causato dei… problemi», disse Linda.
«Che genere di problemi?»
«I maschi della famiglia devono aspettare fino ai venticinque anni».
«E perché?»
«David è un normale ragazzo di ventun anni. Spenderebbe tutti i soldi in macchine e alcol. Ma nonostante abbia una disponibilità economica minore è sempre stato molto più educato di Andrea. Mi fa sempre dei bellissimi regali di compleanno». Linda scostò di nuovo la frangetta e incrociò le braccia sul seno abbondante e decorato da gattini.
«E tu in cosa investi i tuoi soldi?», chiese Moss.
«Questa è una domanda scortese alla quale non sono tenuta a rispondere», ribatté Linda in tono aspro.
Di fianco all’armadio c’era un letto a baldacchino con una coperta blu e bianca e alcuni peluche allineati davanti al cuscino. Sopra il letto era appeso un poster degli One Direction.
«In realtà non le piacevano più», disse Linda seguendo la direzione del loro sguardo. «Diceva che erano dei ragazzini, mentre a lei piacevano gli uomini».
«Ma era ufficialmente fidanzata», disse Erika. Linda fece una risata amara. «Cosa c’è di così divertente, Linda?»
«Ma l’avete visto Giles? Quando distribuiscono il cibo alle oche per il foie gras lui si precipita in prima fila…».
«Perché pensi che Andrea stesse con lui?»
«Be’ agenti, è ovvio, per i soldi. Lui erediterà una favolosa proprietà nel Wiltshire e una casa alle Barbados. I suoi genitori sono multimiliardari e stanno per tirare le cuoia. Hanno avuto Giles molto tardi. Sua madre aveva scambiato la gravidanza per la menopausa».
«Andrea tradiva Giles?», chiese Moss.
«Andrea ha sempre attirato un sacco di ragazzi. In sua presenza si trasformavano tutti in penose creature con la bava alla bocca. E lei godeva di tutte quelle attenzioni».
«Ma aveva una storia con qualcuno?», insisté Moss.
«Non ho idea di cosa facesse per la maggior parte del tempo. Non eravamo molto intime. Ma le volevo bene e la sua morte mi ha distrutta…». Per la prima volta Linda parve sull’orlo delle lacrime.
«E tu, Linda?», chiese Moss.
«Io? Mi sta chiedendo se faccio sbavare anche io i ragazzi? Lei che ne pensa?», sbottò lei, tagliando corto.
«Volevo sapere se hai un fidanzato», spiegò Moss.
«Non sono affari suoi. E lei ce l’ha un fidanzato?»
«No. Sono sposata», disse Moss.
«E lui cosa fa?», chiese Linda.
«Lei. Fa l’insegnante», disse Moss con naturalezza. Erika cercò di non sembrare sorpresa.
«No. Non ho un fidanzato», disse Linda.
«Queste finestre si possono aprire del tutto?», chiese Peterson spostandosi davanti a quella centrale e chinandosi a sbirciare dalle persiane chiuse. «Hanno una chiusura di sicurezza?»
«No, si aprono completamente», disse Linda, ammirando il lato B di Peterson mentre si chinava. Erika si avvicinò e vide che c’era una scala antincendio che arrivava fino a terra.
«Andrea è mai scappata dalla finestra per incontrare qualche amico quando era in punizione?», chiese Erika.
«Mia madre e mio padre non hanno mai avuto né il tempo né la voglia di metterci in punizione. Se volevamo uscire lo facevamo dalla porta d’ingresso», disse Linda.
«E potevate andare e venire a vostra discrezione?»
«Certo».
Erika si accovacciò per guardare sotto il letto. Sul parquet lucido c’erano dei cumuli di polvere, ma una zona pareva più pulita delle altre. Spostò la sua attenzione sul cassettone e fece per aprire il cassetto superiore, ma si bloccò con la mano sulla maniglia. «Ti dispiacerebbe aspettare fuori, Linda?», chiese.
«Perché? Pensavo che foste qui solo per chiacchierare».
«Linda, hai per caso delle fotografie di Andrea che puoi mostrarmi? Potrebbero tornarci utili», disse Peterson. Si avvicinò e sfiorò il braccio di Linda. Il suo volto rotondo si fece scarlatto.
«Uhm, sì, credo di averne qualcuna», disse fissando Peterson con un sorriso. Uscirono, ed Erika chiuse la porta.
«E bravo Peterson, si sacrifica per il bene della squadra», scherzò Moss. «Che c’è?».
Erika tornò vicino al letto. «La scientifica è già venuta qui quando l’indagine era ancora incentrata sulla ricerca di una persona scomparsa?»
«No. Sparks è venuto solo a dare una rapida occhiata. Credo che Simon o Diana siano stati sempre insieme a lui, perciò ha fatto un lavoro superficiale».
«C’è qualcosa sotto il letto che mi sembra sospetto», disse Erika.
Si chinarono entrambe, tirarono fuori i guanti di lattice dalle tasche dei cappotti e li infilarono. Erika si chinò e strisciò sotto il letto. Moss accese una torcia tascabile e le fece luce mentre esaminava la zona del parquet che sembrava più pulita del resto, seguendone i contorni. Erika tirò fuori le chiavi della macchina e ne inserì una tra le assi per fare leva. Ma l’asse era parecchio lunga e il letto molto basso, perciò non riusciva a sollevarla bene. La rimise a posto e scivolò fuori. Insieme a Moss afferrò un’estremità del letto e la spostò in avanti con una certa difficoltà.
«Cazzo, di certo non è roba di IKEA», disse Moss con una smorfia. Erika si spostò dall’altro lato e sollevò l’asse.
In uno scomparto segreto c’era la scatola di un cellulare. Erika la raccolse e l’aprì. La confezione di cartone era ancora all’interno, ma il telefono no. Al suo posto c’era una bustina di pillole bianche, un piccolo quadratino scuro che aveva l’aria di essere resina di cannabis avvolta nella pellicola, un grosso pacchetto di cartine Rizla e una scatola di filtri. C’era anche il libretto di istruzioni di un iPhone 5S e un kit vivavoce ancora sigillato. Erika sollevò il cartone. Sotto c’era un piccolo scontrino bianco. Era stampato su carta lucida e in un angolo una sostanza gialla e vischiosa aveva cancellato l’inchiostro. Il retro era bianco, fatta eccezione per le parole SEI UN’AMORE scritte in inchiostro blu, con una grafia infantile.
«È per una scheda prepagata», disse Erika voltando di nuovo lo scontrino.
«Ma si vede solo metà del numero di transazione», disse Moss. «Cos’è quello schifo giallo?».
Erika se l’accostò al naso. «Tuorlo d’uovo secco».
«E quella roba?», chiese Moss lanciando un’occhiata al resto della scatola.
«Non saprei. Ma credo che non sia niente di che. Quelle pasticche potrebbero essere ecstasy. E poi un paio di grammi di resina di cannabis. Uso personale», disse Erika. «Imbustiamo tutto e chiamiamo la scientifica per esaminare il resto della stanza».
Quando scesero al piano di sotto, Simon e David stavano accompagnando un medico alla porta.
«È tutto a posto?», chiese Erika. Simon ringraziò il dottore e aprì la porta. Il medico percorse velocemente il vialetto sotto una pioggia di flash, stringendo in mano la borsa, ansioso di togliersi dalla linea di fuoco. Peterson e Linda li raggiunsero mentre Simon richiudeva la porta.
«No, proprio per niente. Mia moglie ha sofferto un grave trauma. Devo chiedervi di andarvene, per favore».
«Abbiamo trovato questa sotto il letto di Andrea», disse Erika mostrandogli una busta con la scatola del cellulare e la droga.
«Cosa? No, no, no, no, no», scattò lui. «I miei figli non sono dei tossici! Come faccio a sapere che non ce li ha messi lei?»
«Sir, non ci importa della droga. Ci interessa molto di più il fatto che Andrea avesse un altro telefono. Nella scatola c’era lo scontrino di una scheda prepagata comprata quattro mesi fa. Lo sapevate?»
«No. Mi faccia vedere…». Sir Simon prese la bustina di plastica con lo scontrino e la osservò. Anche David e Linda la scrutarono con aria curiosa.
«Di chi è la scrittura?»
«Non ne abbiamo idea. Possibile che sia di Giles?»
«Lui è andato alla Gordonstoun. Sa che un amore non si scrive con l’apostrofo. E comunque come fate a sapere che questa roba apparteneva a lei? Magari era una vecchia scatola».
«La sua segretaria potrebbe aver procurato un altro telefono ad Andrea?»
«No! Non senza dirmelo», disse Simon. «Voi due cosa sapevate di questa faccenda? Andrea prendeva delle droghe?», aggiunse voltandosi verso David e Linda.
«Non sappiamo niente, papà», disse Linda scostando i capelli dalla fronte. David scosse la testa insieme a lei.
«Okay, grazie, signore. Ci faccia sapere se scoprite qualcosa di più. Nel frattempo abbiamo chiesto alla scientifica di dare un’occhiata alla stanza di Andrea».
«Cosa? Mi sta chiedendo il permesso?»
«La sto informando che nell’interesse delle indagini mirate a trovare chi ha ucciso Andrea è necessario che una squadra della scientifica ispezioni la sua stanza, sir», disse Erika.
«Voi fate come vi pare, non è così?», scattò Simon. Poi rientrò nel suo studio sbattendo la porta.
Quando arrivarono all’auto, parcheggiata in Chiswick Road, il cellulare di Erika squillò.
«Sono il detective Sparks. Sono al Glue Pot. Per l’identikit che voleva fare con quella testimone, Kristina».
«Sì? L’avete trovata?», chiese Erika, sentendo un po’ di speranza nascerle nel petto.
«No, e secondo quanto afferma il proprietario non c’è nessuna Kristina che lavora qui».
«Dove avete trovato il proprietario?»
«Vive in un appartamento due porte più in là».
«E allora chi era la ragazza con cui ho parlato?»
«Ho chiesto al personale del bar. Una ragazza che coincide con la descrizione, di nome Kristina, lavora lì occasionalmente, pagata in contanti, copre qualche turno quando gli altri si prendono una serata libera. Uno aveva il suo indirizzo, siamo andati a controllare. Un monolocale vicino alla stazione, ma era vuoto».
«Chi è il proprietario?», chiese Erika.
«Il proprietario vive in Spagna e per quello che ne sapevano lui e l’agente immobiliare l’appartamento era libero da sei mesi. Perciò o questa Kristina lo stava occupando abusivamente, oppure ha dato un indirizzo fasullo».
«Merda. Manda la scientifica all’appartamento, cercate qualche impronta. Per il momento è l’unica persona ad aver visto Andrea con quell’uomo e quella donna del mistero».