Il mattino seguente Erika arrivò alla centrale di Bromley con gli occhi stanchi e arrossati. Aveva fatto tardi la sera prima, indagando fra i vecchi documenti sul caso Collins e finendo il rapporto richiesto da Yale. Aveva dormito solo qualche ora.
Quando scese dall’auto nel parcheggio sotterraneo, sentì un fischio alle sue spalle. Voltandosi si ritrovò di fronte a due volti familiari che le venivano incontro.
«Capo! Che bello rivederti!», gridò l’ispettore Moss. Era una donna bassa e robusta, con i capelli rossi corti sistemati dietro le orecchie e il viso spruzzato di lentiggini. Le corse incontro e strinse Erika in un abbraccio stritolante e pieno di calore.
«Non vedeva l’ora di incontrarti», commentò un agente di colore che le raggiunse qualche secondo dopo. Era l’ispettore Peterson, bello e affascinante nel suo completo nero ed elegante.
«Va bene, va bene. Non respiro», disse Erika fra le risate. Moss la liberò e fece un passo indietro.
«Pensavo che ti fossi dimenticata di noi».
«È stato un periodo folle. Mi hanno assegnato qui come ruota di scorta e all’improvviso hanno cominciato a sommergermi di casi», rispose Erika sentendosi in colpa per non aver mantenuto i contatti con i suoi vecchi colleghi.
«Avanti, Peterson. Abbraccia il capo anche tu», scherzò Moss.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. «È bello rivederti, capo». Sorrise e le diede una pacca sulla spalla.
Pure Erika gli sorrise, poi scese un silenzio imbarazzato.
«Vi servono i permessi per il parcheggio?», chiese.
«Solo uno. Siamo venuti con la mia macchina: Peterson sta aspettando che gliene assegnino una», rispose Moss.
«La mia è morta sotto il sole la settimana scorsa, all’altezza della rotonda The Sands», disse. «Un vero incubo, è successo nel bel mezzo dell’ora di punta. Auto che strombazzavano come matte, fumo dal cofano. Sono dovuto uscire e mettermi il giubbotto catarifrangente».
«Dovevi vederlo con quel giubbotto, capo. Gli stava davvero alla grande. Gli ho detto di non metterlo anche oggi perché…».
«Ma va’ a quel paese, Moss», disse Peterson.
«Fa solo il modesto, capo. Quel colore gli faceva risaltare gli occhi… un vero piccolo Idris Elba».
Erika scoppiò a ridere. «Scusa, Peterson», gli disse.
«Fa niente», sorrideva anche lui.
Si era scordata quanto fosse divertente lavorare insieme a Moss e Peterson, e non si era resa conto che le mancavano. Andarono in fondo al parcheggio e chiamò l’ascensore.
«È bello avervi entrambi qui, grazie. Anche se temo che ci sarà ben poco da ridere oggi. Questo è un caso bello tosto».
La sala operativa era già piena quando raggiunsero l’ultimo piano. Erika presentò Moss e Peterson al resto della squadra e scoprì con sommo piacere che le erano stati assegnati altri sei agenti del dipartimento indagini criminali per esaminare i documenti del caso.
Osservò bene i volti che la fissavano pieni di aspettative.
«Buongiorno a tutti. Innanzitutto voglio ringraziarvi per esservi messi a disposizione con così poco preavviso…». Proseguì illustrando brevemente gli sviluppi della vicenda Jessica Collins. «Con questo caso riapriamo un vero e proprio vaso di Pandora. Anzi, non un vaso: sarebbe più corretto parlare di una montagna di scatoloni», si corresse alludendo ai documenti che intasavano il suo studio. «Dobbiamo focalizzarci tutti quanti sui fatti collegati alla scomparsa di Jessica. Lasciate perdere le ipotesi, per ora. Non possiamo prevedere come i media tratteranno la scoperta dei resti della bambina, ma dobbiamo tenerci sempre un passo avanti a loro. La sfida adesso è molto più impegnativa che negli anni Novanta. Abbiamo telegiornali, social media, blog e forum online: tutti assimilano informazioni per poi rivomitarle ventiquattr’ore su ventiquattro. Insomma, i documenti ammassati lungo quella parete devono essere riesaminati da cima a fondo, e in fretta. Ho bisogno che le dichiarazioni dei testimoni vengano controllate e ricontrollate. Voglio sapere ogni cosa sulla cava di Quarry. Per cosa veniva usata negli anni passati? Perché il corpo di Jessica non era mai stato trovato? Sto andando proprio ora a incontrare la famiglia Collins, che di sicuro avrà un mucchio di domande da farmi. Ho bisogno che vi diate da fare con questo caso».
A quel punto l’agente Knight si alzò per illustrare la cronologia degli eventi antecedenti la scomparsa di Jessica Collins.
«Devo scendere nel dettaglio per quanto riguarda i luoghi, capo?», domandò.
«Immagina che non sappiamo nulla: viviamo lontano da Hayes e non abbiamo mai sentito parlare di Jessica Collins. Questa è la prima volta che veniamo a conoscenza del fatto… E ricordate», aggiunse Erika, «non esistono domande stupide. Se qualcosa non vi quadra, fatelo presente».
L’ispettore capo si appoggiò a una scrivania, mentre Knight si posizionava di fronte alla gigantesca cartina di quattro metri quadrati alla parete.
«Questa mappa copre complessivamente un’area di trentadue chilometri. Al centro si trova Central London e in fondo, dunque a sud, ci sono i confini della contea di Kent. E qui ci siamo noi, a Bromley», disse indicando un grosso cerchio rosso sulla cartina. «Ci troviamo a quattro chilometri da Hayes. È una cittadina di pendolari: molte delle persone che vivono qui lavorano a Londra e impiegano circa trenta minuti di treno per raggiungere la metropoli. Inoltre il tasso di pensionati è sopra la media nazionale. I prezzi delle case sono alti, a livello demografico la popolazione è in prevalenza bianca».
Knight fece un cenno a Crawford, che spostò il portatile sulla scrivania e attivò il proiettore. Su un quadrato vuoto della lavagna bianca apparve un’altra mappa su scala più ampia. Knight si spostò in un angolo e continuò il discorso. «Questa è una mappa più dettagliata del paese di Hayes e del parco limitrofo. Qui potete vedere la strada principale e la stazione ferroviaria. Questa vasta macchia verde è Hayes Common, un’area in cui si alternano foresta e brughiera, attraversata da sentieri, ippovie e diverse altre strade. Con i suoi novanta ettari è una delle aree pubbliche più vaste di Greater London. Esistono molteplici punti d’accesso al parco: Prestons Road, West Common Road, Five Elms Road, Croydon Road, Baston Road, Baston Manor Road e Commonside. La cava di Hayes, dove sono stati rinvenuti i resti di Jessica Collins, si trova qui». Indicò la zona sudorientale del parco, dove Croydon Road, Baston Road e Commonside attraversavano la vegetazione creando una specie di triangolo rovesciato. «La cava è stata creata fra il 1906 e il 1914. Si estraevano sabbia e ghiaia. Nel corso degli anni è stata riempita e svuotata due volte: durante la seconda guerra mondiale, quando Hayes Common ospitava una base militare e dei cannoni antiaerei, e nel 1980, per volontà di un gruppo di archeologi coinvolti in un più ampio scavo alla ricerca di relitti dell’Età del bronzo. In seguito, si è lasciato che la cava si riempisse d’acqua. Il comune di Bromley ha avanzato per ben due volte la richiesta di destinare la cava alla pesca commerciale, ma la mozione è stata sempre respinta in quanto il parco è considerato un luogo di interesse naturale, e pertanto è protetto».
Si spostò dall’altro lato della mappa in silenzio, mentre le varie strade si proiettavano sul suo volto come un reticolo di vene e arterie.
«Ora passerò a illustrarvi la cronologia degli eventi antecedenti la scomparsa di Jessica Collins. Jessica viveva qui insieme alla sua famiglia, al numero 7 di Avondale Road, a meno di un chilometro e mezzo dalla cava di Hayes. Il punto d’accesso più vicino è da Baston Road. Come potete notare, tutte le abitazioni di Avondale Road sono case indipendenti con giardino. È una zona ricca. Sabato 7 agosto 1990, alle 13:45, Jessica è uscita di casa per recarsi alla festa di compleanno di una compagna di scuola, Kelly Morrison, che abitava al civico 27 di Avondale Road. Si trattava di una breve passeggiata, cinquecento metri appena. Ma non è mai arrivata alla festa. L’allarme è stato lanciato soltanto alle 15:30, quando la madre di Kelly ha chiamato Marianne per chiederle dove fosse Jessica».
Fece un altro cenno a Crawford, che si avvicinò al computer e cliccò sul mouse. Sulla lavagna comparve l’homepage del sito web di Perez Hilton, che mostrava una foto di Kim Kardashian all’uscita di uno Starbucks.
«Ops!», rise. «Colpa mia. Ma scommetto che non sono l’unico che si tiene al passo con le Kardashian».
Nella stanza calò un silenzio mortale. Alcuni agenti sparpagliati per la sala operativa si scambiarono dei sorrisetti di scherno. Moss incrociò lo sguardo di Erika e sollevò un sopracciglio.
«Eccoci qua», disse arrossendo. L’immagine proiettata sulla lavagna cambiò di nuovo, ora era una schermata di Google Street View. Knight lo guardò storto e proseguì.
«Qui è dove Baston Road si allontana dal parco e diventa Avondale Road». La visuale di Google Street View avanzava a scatti, superando le immagini delle case che si affacciavano su Avondale Road. «Come vedete tutte le abitazioni sono ampie, due o tre piani. Sono separate dalla strada, molte sono protette da alte siepi o alberi… Ecco, qui stiamo superando il civico 7, casa Collins… E adesso proseguiamo verso il 27. Sto cercando di ottenere le immagini della via così com’era ventisei anni fa».
Google Street View avanzava fra case più eleganti. Si vedeva persino un postino, immortalato mentre camminava con il volto offuscato e la mano nella borsa. Più giù s’intravedeva una donna che sbucava da uno dei vialetti con un cane di piccola taglia al guinzaglio. Era di spalle, si vedevano solo i capelli biondi, corti e ricci.
«Ora superiamo il civico 27, la casa di Kelly Morrison, amica di Jessica. A questo punto Avondale Road devia nettamente a sinistra e diventa Marsden Road». Con un altro scatto in avanti, la visuale di Google Street View mise a fuoco una grande villa giallo burro con delle maestose colonne a segnarne l’entrata. «Questo adesso è lo Swann Retirement Village, una casa di cura, ma ventisei anni fa era un centro di riabilitazione per pregiudicati colpevoli di reati sessuali. Ai tempi, la natura del centro non era di dominio pubblico. La notizia è venuta fuori soltanto dopo la scomparsa di Jessica, quando uno dei residenti, Trevor Marksman, è diventato il principale sospettato del caso. Nella sua camera all’ultimo piano sono stati trovati foto e video amatoriali di Jessica. Inoltre un vicino l’ha visto aggirarsi intorno alla casa della vittima il pomeriggio del 5 agosto, il pomeriggio del 6, sempre intorno alla stessa ora, e la mattina del 7. È stato arrestato due settimane dopo e trattenuto per l’interrogatorio, ma non c’erano prove – a parte le foto e i video di Jessica – che potessero legarlo alla sua scomparsa».
«Ma si trattava di un centro di riabilitazione pieno di molestatori: ci saranno stati altri sospettati oltre Trevor Marksman, o no?», chiese Moss.
«Sì, ma le norme di sicurezza erano molto rigide, e alle tredici e trenta del 7 agosto si teneva l’incontro settimanale fra residenti e agenti di custodia. Hanno fatto l’appello a quell’ora e non mancava nessuno. L’incontro è terminato alle quindici e trenta, ma nessuno è uscito. E solo allora la madre di Kelly Morrison ha telefonato a Marianne Collins chiedendole dove fosse Jessica. Subito dopo hanno cominciato a cercarla».
«Adesso abbiamo un cadavere, però», disse Moss.
«Abbiamo i resti di Jessica, ma ventisei anni sott’acqua hanno cancellato ogni prova forense», rispose Erika.
Knight continuò: «Tutti i parenti prossimi di Jessica hanno un alibi. Marianne e Martin erano a casa con Toby. Una coppia di vicini è andata a trovarli intorno alle tredici e quaranta. Erano due anziani, ora deceduti, il signor e la signora O’Shea. Erano con loro anche quando Jessica è uscita e se ne sono andati solo quando è stato lanciato l’allarme. La figlia maggiore, Laura, era a più di trecentocinquanta chilometri di distanza, in campeggio sulla penisola di Gower, in Scozia, con il fidanzato dell’epoca, Oscar Browne. Erano partiti presto il giorno prima».
Si voltò a guardare gli agenti nella stanza. «Gli interrogatori porta a porta non sono stati di grande aiuto: molti dei vicini erano in vacanza e chi si trovava sulla scena del crimine aveva un alibi di ferro. Come avete visto anche voi su Google Street View, la maggior parte delle case non ha una vista su Avondale Road: abbiamo un buco di due ore in cui può essere accaduto di tutto. C’erano pochissimi negozianti e i postini di sabato pomeriggio non passano. Le telecamere di sicurezza non coprivano l’intera area e non ci sono autobus che attraversano la via».
Per qualche istante nella stanza calò il silenzio, finché Crawford non riaccese la luce. Erika si posizionò accanto alla cartina, quasi invisibile con i neon accesi.
«Grazie. E magari, Crawford, potresti usare il computer solo per ragioni di lavoro».
«Certo, mi dispiace molto. Non succederà più», farfugliò.
Erika proseguì: «Ho bisogno della piena concentrazione da parte vostra. E se qualcuno sente che sta perdendo il filo, di tanto in tanto, non deve far altro che guardare questa foto». Indicò l’immagine dell’autopsia, in cui lo scheletro di Jessica era steso sul telo azzurro come un puzzle appena completato. «Diamoci una mossa con questo materiale. E comunque, non dobbiamo demoralizzarci. In questi rapporti potrebbe esserci ancora molto da scovare e noi abbiamo il beneficio del senno di poi. Vorrei che vi divideste gli scatoloni. Ne risponderete all’ispettore Moss. Dovete ricontrollare tutte le prove a carico di Trevor Marksman, e vorrei anche che prestaste attenzione al responsabile delle vecchie indagini, l’ispettore capo Amanda Baker…».
«Conoscevo Amanda», l’interruppe Crawford. «Ho lavorato a questo caso nel 1990».
«E perché non l’hai detto prima?», chiese Erika. Tutti gli agenti nella stanza si voltarono verso Crawford, in piedi accanto alla porta. Lui gonfiò le guance prima di rispondere.
«Oh, ehm, be’, mi ero ripromesso di farlo alla prima occasione. È stato tutto così movimentato…».
«Ci siamo parlati ieri mentre preparavi questa riunione insieme all’agente Knight. Non hai pensato che fosse rilevante? Magari avresti potuto confidarci qualche dettaglio in più, non trovi?».
Tutti stavano fissando Crawford. Lui gonfiò di nuovo le guance, un’abitudine che già cominciava a dare sui nervi a Erika.
«È stato detto molto sull’ispettore Baker…», cominciò. «Ho sempre pensato che si fosse trovata ad affrontare troppe pressioni da entrambi i lati. Da una parte c’era la famiglia Collins che la criticava e le dava il tormento, dall’altra quelli dei piani alti, che la aggiravano e si muovevano per conto proprio senza informarla. Una vera ingiustizia».
«Questo lo sappiamo. Puoi dirci altro?»
«Uhm. Ho fatto parte delle squadre di ricerca ad Hayes Common e intorno alla cava, nell’agosto e nel settembre del 1990. Anche i sub hanno setacciato le acque. Noi… Loro non hanno trovato nulla».
«Quindi Jessica doveva essere ancora in vita, oppure l’hanno uccisa da un’altra parte e si sono sbarazzati del corpo in seguito», commentò Erika.
«Non avevo accesso alle informazioni della sala operativa. All’epoca ero un poliziotto semplice, pieno di entusiasmo… La vita non mi aveva ancora affossato», scherzò con una risatina imbarazzante.
Seguì qualche istante di silenzio e Crawford si agitò goffamente accanto alla porta. Aveva ancora il viso rosso e chiazzato. Erika si appuntò mentalmente di controllare il suo dossier. Doveva avvicinarsi alla cinquantina, ma non l’aveva mai visto alla centrale di Bromley nei tre mesi che aveva passato lì.
«Va bene. Allora, ragazzi, la priorità di tutti è ricontrollare le prove. Una volta che sapremo che cosa c’è in quegli scatoloni, potremo andare avanti. Ci rivediamo domattina per aggiornarci sui progressi».
La stanza riprese vita. Erika raggiunse Moss e Peterson, seduti accanto al suo ufficio.
«Peterson, vieni con me. Andremo a parlare con la famiglia Collins. Moss, tu tieni d’occhio le cose qui e…». Puntò il dito verso Crawford, che stava combattendo contro il filo del caricabatterie del PC che si era intrecciato.
«Vuoi che cerchi il suo fascicolo?»
«Sì, ma sii discreta».
Moss annuì ed Erika lasciò la sala operativa insieme a Peterson.