Lee trovò una postazione libera, in modo che potessero leggere i fascicoli.
«Cazzo, Linda ha dei bei trascorsi nel corso degli anni. Incendio doloso, furto, taccheggio…», disse Erika. «Tra luglio e novembre dell’anno scorso il fidanzato di Andrea, Giles Osborne, ha presentato tre denunce alla polizia, sostenendo che Linda lo molestasse e gli inviasse email minacciose».
«Gli agenti sono andati a parlare con lei in tutte e tre le occasioni», lesse Moss.
«Già, quindi niente arresto. La prima denuncia di Giles Osborne è stata a luglio del 2014, riguardo alcune email offensive ricevute da Linda. In una minacciava di uccidere prima il suo gatto e poi lui. La seconda denuncia è di un mese dopo. Qualcuno era entrato nel suo appartamento e il suo gatto era stato avvelenato. Hanno trovato le impronte di Linda nella proprietà, ma il suo avvocato ha sostenuto che era del tutto normale, perché di recente la sua assistita aveva partecipato alla cena che era stata organizzata nella proprietà per festeggiare il fidanzamento ufficiale con Andrea.
Linda era stata anche ripresa dalle telecamere di sicurezza in una stradina adiacente all’appartamento di Giles Osborne, pochi minuti prima dell’intrusione. A quel punto ha ceduto e ha detto che era entrata in casa dopo che ci era entrato qualcun altro e aveva provato a salvare il gatto, che le era sembrato in difficoltà quando l’aveva visto dalla finestra».
«Direi che ha un ottimo avvocato», commentò Moss.
«Può darsi, comunque non c’erano prove sufficienti. La terza denuncia è dell’ottobre dello scorso anno, quando Linda ha causato danni per ottomila sterline nell’ufficio di Giles. Ha lanciato un mattone contro una delle vetrate. Ecco, anche qui le telecamere di sicurezza l’hanno ripresa».
La fotografia in bianco e nero era sovraesposta, ma si vedeva comunque una figura massiccia con un soprabito lungo e un cappellino da baseball calcato sulla faccia. I lembi del soprabito si erano scostati quando aveva tirato indietro il braccio per lanciare il mattone, e sotto si intravedeva un maglione con dei barboncini danzanti.
Moss si era portata dietro il computer. Lo aprì e lo accese. «Occupiamoci delle foto del cellulare di Andrea», disse collegando una chiavetta USB che conteneva tutti i dati del telefono. Attesero che il computer si avviasse con un ronzio, poi la lucina sulla chiavetta cominciò a lampeggiare e le fotografie comparvero una dopo l’altra sullo schermo.
Andrea era stata immortalata a un sacco di feste. C’erano anche molti selfie, e foto di lei in topless di fronte allo specchio del bagno, con la testa inclinata all’indietro e la mano a coppa intorno al seno. Poi c’era una serie di foto scattate durante una serata in un bar. A quanto pareva, lo stesso giorno della fotografia con Linda.
«Fermati, torna indietro!», disse Erika.
«Non posso fermarmi, dobbiamo aspettare che finisca di caricare», disse Moss.
«Avanti», disse Erika impaziente, mentre il computer si impuntava su una foto tutta scura, chiaramente scattata per errore. Poi il caricamento riprese e terminò. Erika cominciò a scorrere le immagini.
«Sì. Ecco, queste sono le più recenti, scattate nel bar», disse Erika.
«Chi è quello?», disse Moss fissando lo schermo insieme a lei. La foto mostrava un uomo robusto, sui trent’anni. Aveva la carnagione scura e dei grandi occhi marroni, un pizzetto corto e ben curato su un volto affascinante, dai lineamenti marcati.
Le prime foto erano state scattate da Andrea, che teneva il cellulare in alto. In tutte quante era appoggiata al petto dell’uomo. Bello come un modello.
«L’uomo con i capelli scuri», disse Erika a bassa voce, trattenendo a stento l’eccitazione.
«Andiamo avanti», disse Moss, anche lei su di giri. Erika continuò a cliccare sulle fotografie successive. Sembrava che fossero state scattate tutte alla stessa festa: c’era molta gente sullo sfondo, seduta ai tavoli oppure in piedi a ballare. Andrea si era divertita a scattarsi foto insieme all’uomo, e lui non si era certo opposto. Nelle prime erano fianco a fianco, Andrea lo fissava con un’espressione di puro amore negli occhi. Poi le foto proseguivano con loro che si baciavano, le bocche premute con forza, mostrando appena un po’ di lingua, e le unghie rosse di lei che gli accarezzavano la mascella pronunciata.
«Sono state scattate tutte il 23 dicembre dello scorso anno», disse Moss, notando la data sulle immagini.
«La foto di Linda e Andrea. È stata scattata quella stessa sera. È la stessa festa…».
L’immagine grazie alla quale il database della polizia aveva riconosciuto il volto di Linda spuntò fuori di nuovo.
«Direi che la serata era quasi finita, sembrano entrambe stanche», disse Erika.
«Quindi c’era anche Linda insieme a quel tipo. Potrebbe essere stato lui a scattare la foto», disse Moss.
Continuarono a scorrere le immagini. Le date indicavano un vuoto di qualche giorno, poi cominciò una serie di scatti su un letto, con delle lenzuola chiare. Andrea era sdraiata insieme all’uomo dai capelli scuri, era sempre lei a scattare le foto tenendo in alto il cellulare. Il petto di lui era ampio e robusto, coperto da un filo di peluria nera. Andrea teneva l’altro braccio posato appena sotto il seno. Le foto divennero man mano più esplicite: un primo piano dell’uomo che teneva tra i denti bianchi un capezzolo di Andrea, un nudo frontale di Andrea distesa a letto e sorridente. Poi un primissimo piano del volto di Andrea, con le labbra premute alla base del pene dell’uomo. Lui le teneva il volto tra le mani, con uno dei pollici posato sullo zigomo.
In netto contrasto con le precedenti, la foto seguente non era affatto vietata ai minori. Risaliva al 30 dicembre e ritraeva Andrea e l’uomo mano nella mano per strada. Indossavano entrambi abiti invernali. Sullo sfondo c’era una torre con un orologio dall’aria familiare.
«Merda. Quello è l’Horniman Museum», disse Moss.
«E risale a quattro giorni prima della scomparsa», disse Erika.
«Credi che fosse lui il tizio con cui Andrea è stata vista nel pub?», chiese Moss.
«Potrebbe anche essere il tizio che l’ha uccisa», disse Erika.
«Ma a quanto pare non ha precedenti penali, il database non ha trovato riscontri…».
«Sembra russo, oppure non so, rumeno? Serbo? Potrebbe avere dei precedenti all’estero».
«Non sappiamo come si chiama, potrebbe volerci un po’ per scoprirlo», disse Moss.
«Ma conosciamo qualcuno che potrebbe sapere il suo nome. Linda Douglas-Brown», disse Erika. «Ci sono foto di lei la stessa sera, nello stesso bar».
«Dobbiamo convocarla?», chiese Moss.
«Aspetta, frena», disse Erika.
«Che vuoi dire con “frena”? È evidente che ci ha tenuto nascoste delle informazioni, capo».
«Dobbiamo essere prudenti. I Douglas-Brown ci aizzeranno contro il loro avvocato non appena oseremo fare una mossa. Mi pare che abbiano speso già delle somme considerevoli per tenere in carreggiata Linda».
Moss rimase in silenzio per un attimo. «Sai cosa manca nel tuo appartamento, capo?»
«Cosa?»
«Dei fiori freschi».
«Già. Dovremmo proprio fare un salto dal fioraio», disse Erika.