Il negozio di fiori Jocasta si trovava a Kensington High Street, tra un’elegante gioielleria e un palazzo di uffici di granito. La vetrina, con un certo ottimismo, era già allestita per l’inizio della primavera e mostrava un tappeto di erba vera, con narcisi gialli, tulipani e crochi, in un tripudio di rossi, rosa, azzurri e gialli. Sull’erba c’erano anche diversi conigli pasquali di porcellana, che spuntavano alle spalle di funghi o di enormi uova a pois. In prima fila, vicino al vetro, c’era una piccola foto di Andrea che sorrideva verso l’obiettivo, adagiata su un cuscino di velluto rosso…
Moss fece per aprire la porta a vetri, ma poi vide un piccolo campanello bianco e un elegante cartello che diceva: SI PREGA DI SUONARE.
Erika premette il pulsante. Qualche istante dopo una donna anziana e bassina, con i capelli raccolti all’indietro in un’acconciatura severa, le scrutava da sotto le palpebre cadenti. Era la stessa signora che li aveva accolti a casa Douglas-Brown. Fece loro cenno di andarsene. Erika premette di nuovo il campanello. Si resero conto di quanto fosse spesso il vetro quando la porta si aprì e lo scampanellio arrivò amplificato.
«Che volete?», le apostrofò lei. «Abbiamo già parlato con la polizia, avete arrestato un sospettato. Noi ci stiamo preparando per il funerale».
Fece per sbattere la porta, ma Moss la bloccò.
«Vorremmo parlare con Linda, per favore. È qui?»
«Ma non avete già arrestato un uomo? Che altro volete dalla famiglia?», ripeté la donna.
«Stiamo ancora raccogliendo prove, signora. Linda potrebbe essere in grado di aiutarci a confermare qualche dettaglio, che magari ci condurrà a un’incriminazione più rapida», disse Moss.
L’anziana signora le squadrò, con gli occhi che sfrecciavano da una parte all’altra sotto le palpebre cadenti, la pelle rugosa e incartapecorita. Erika pensò che assomigliava a un camaleonte. Infine aprì la porta e si spostò di lato per farle entrare.
«Pulitevi i piedi», disse lanciando un’occhiata al marciapiedi bagnato.
La seguirono fino a un salottino aperto, tutto arredato di bianco. Lungo la parete in fondo c’era un enorme tavolo da conferenze di vetro, illuminato di colori cangianti. Alle pareti erano appese foto degli eventi a cui Jocasta aveva collaborato: matrimoni dell’alta società, lanci di prodotti. La vecchia signora scomparve in una porticina sul retro. Pochi istanti dopo ne emerse Linda, carica di narcisi gialli. Indossava una gonna lunga dal taglio classico e sotto il grembiule bianco si intravedeva un altro maglione a tema felino. In questo caso, un enorme soriano con gli occhi languidi.
«Mia madre non c’è. È andata a riposarsi», disse. Dal tono di voce si capiva che per come la vedeva lei la madre stava battendo la fiacca. Andò al tavolo, vi posò sopra i narcisi e cominciò a dividerli in mazzetti. Erika e Moss si avvicinarono. «Che ci fa lei qui, detective Foster? Pensavo che non lavorasse più al caso…».
«Chi meglio di voi può sapere che non bisogna credere a tutto quello che si legge sui giornali?», disse Erika.
«Ah, i giornalisti. Sono tutti delle bestie. Uno di quei tabloid mi ha definita una “zitella cicciona”».
«Mi dispiace, Linda».
«Ah davvero?», sbottò lei, lanciando un’occhiataccia a entrambe. Erika fece un profondo respiro.
«Quando abbiamo parlato la scorsa volta ti abbiamo chiesto se avessi informazioni che potevano aiutarci nelle indagini. Non ci hai detto che Andrea aveva un altro telefono», disse Erika.
Linda riprese a smistare i narcisi.
«Be’?», disse Moss.
«Era una domanda? Mi pareva più un’affermazione», disse Linda.
«Okay. Andrea aveva un altro telefono?», chiese Erika.
«No. Io non ne sapevo nulla», rispose Linda.
«Aveva denunciato il furto nel giugno del 2014, invece lo aveva ancora, solo che lo usava con una SIM prepagata», disse Moss.
«E quindi? Siete qui per conto dell’assicurazione per indagare su una possibile frode?»
«Abbiamo visto la tua fedina penale, Linda. Non male: aggressione, taccheggio, frode con carte di credito, vandalismo», disse Erika.
Linda smise di sistemare i narcisi e alzò lo sguardo. «Quella era la vecchia me. Adesso ho trovato il Signore», disse. «Sono una persona diversa. Se ci guardiamo allo specchio, tutti quanti abbiamo un passato di cui pentirci».
«E quando avresti trovato il Signore?», chiese Moss.
«Come, scusa?», ribatté Linda.
«Be’, sei ancora in libertà vigilata e quattro mesi fa hai causato ottomila sterline di danni negli uffici di Giles Osborne. Perché?»
«Ero gelosa», disse Linda. «Gelosa di Andrea, di Giles. Lei aveva trovato qualcuno, io invece sto ancora cercando un partner, come potete immaginare».
«E come hanno reagito Andrea e Giles alle tue molestie?»
«Ho chiesto scusa, ho detto che non sarebbe successo mai più, e abbiamo fatto pace».
«E lui ti ha perdonata anche per aver ucciso il suo gatto?», disse Moss.
«NON HO UCCISO IL SUO GATTO», gridò Linda. «Non farei mai una cosa del genere. I gatti sono le creature più belle e intelligenti che esistano… Puoi perderti nei loro occhi e sono convinta che abbiano una risposta per tutto… Se solo potessero parlare».
Erika lanciò un’occhiata a Moss, segnalandole di non insistere su quel punto.
Il viso tondo di Linda si rabbuiò, sbatté un pugno sul tavolo di vetro. «Non sono stata io. Non sono una bugiarda!».
«Okay, okay», disse Moss. «Sai dirci chi è l’uomo in questa foto insieme ad Andrea?». Posò accanto ai narcisi la foto di Andrea alla festa, con l’uomo con i capelli scuri.
«Non lo so», disse Linda dando un’occhiata rapida.
«Guardala bene, Linda», disse Moss, mettendole la fotografia sotto al naso.
Linda la guardò, poi si rivolse di nuovo a Moss: «Ve l’ho detto, non lo so».
«E che mi dici di questa foto?», disse Moss, tirando fuori quella che ritraeva Linda insieme ad Andrea. «Questa foto di voi due è stata scattata quella stessa sera, nello stesso locale. Probabilmente l’ha scattata lui».
Linda lanciò un’altra occhiata alla foto e parve riacquistare un minimo di contegno. «Vedete, agenti, non è certo un caso se avete utilizzato la parola “probabilmente”. Sono arrivata in quel locale pochi minuti prima della chiusura per un ultimo drink. Avevo lavorato qui tutta la sera. Quando sono arrivata Andrea era sola, chiunque fosse in sua compagnia ormai se ne era andato. Mi ha aspettata per bere una cosa insieme e fare due chiacchiere prima dei festeggiamenti natalizi in famiglia. Non dubito che quel tipo sia stato lì, ma non quando c’ero io».
«Andrea l’ha mai nominato?»
«Andrea riceveva sempre un sacco di attenzioni da parte dei ragazzi ogni volta che usciva. Io ho acconsentito a vederci solo a patto che non mi parlasse tutta la sera di loro».
«Non ti piacciono i ragazzi?»
«Ragazzi», sbuffò Linda. «Due donne intelligenti sono in grado di trascorrere una serata insieme senza dover parlare per forza di ragazzi, sapete?»
«Come si chiamava il locale?», chiese Erika.
«Uhm, credo che si chiami Contagion».
«E Andrea con chi ci era andata?»
«Ve l’ho detto, non lo so. Andrea aveva un sacco di accompagnatori per le feste».
«E Giles dov’era?»
«Ho immaginato che se ne fosse andato per non incontrarmi».
«Perché tu l’avevi molestato, gli avevi distrutto l’ufficio e ucciso il…», si inserì Moss.
«Quante volte devo dirvelo: non ho ucciso io Clara!», esclamò Linda. Le salirono le lacrime agli occhi. Se le asciugò con una manica del maglione con il soriano. «Clara era… era adorabile. Si faceva anche prendere in braccio da me. Non lo permetteva a tutti, nemmeno a Giles».
«E allora chi l’ha avvelenata?»
«Non lo so», disse Linda con voce sommessa. Tirò fuori dalla tasca del maglione un fazzoletto accartocciato e si strofinò gli occhi fino a farli diventare rossi.
«Che sai dirci di questo?», disse Moss, posando sul tavolo la busta trasparente con dentro il biglietto ricevuto da Erika.
«Che cos’è? No, no, no. Non ne so nulla!», disse Linda, mentre nuove lacrime le rigavano il volto arrossato.
«Credo che Linda sia stata più che disponibile», disse una voce in fondo alla stanza. La governante dalle palpebre cadenti di casa Douglas-Brown si era materializzata alle loro spalle. «Se volete parlare ancora con lei, forse è il caso di organizzare un incontro ufficiale, magari in presenza dell’avvocato di famiglia».
«Linda, quest’uomo», disse Moss battendo il dito sulla foto del belloccio che stava insieme ad Andrea, «è sospettato anche degli stupri e degli omicidi di tre giovani ragazze dell’Est Europa negli ultimi due anni, e del recente omicidio di una signora più matura».
Linda spalancò gli occhi. La governante sollevò un braccio intimando loro di uscire.
«Per favore, Linda, contattaci se ti viene in mente qualcosa, qualsiasi dettaglio», disse Erika.
«O non sa chi sia quel tipo, o è un’eccellente bugiarda», disse Moss quando tornarono in strada.
«Le credo solo per quanto riguarda il gatto. Non l’ha ucciso lei», disse Erika.
«Però non stiamo indagando su un felinicidio».
«Direi che è il caso di andare a trovare Giles Osborne», disse Erika. «Vediamo cosa ha da dire su Linda e su queste foto».