Poco prima delle nove, Erika parcheggiò e attraversò la strada per raggiungere l’abitazione del comandante Marsh. Abitava vicino a lei, ma in una zona costosa e più residenziale di South London, nei pressi di Hilly Fields Park. La sua casa si affacciava sullo skyline londinese, scintillante in mezzo al buio. Gruppetti di bambini con i costumi da Halloween vagavano per le strade seguiti dai genitori. Chiacchiere e risate arrivarono fino alle orecchie di Erika, che aveva aperto il cancello del vialetto e ora bussava alla porta di Marsh con il pesante battente di ferro. Soltanto due mesi prima Paul Marsh era il capo di Erika alla centrale di Lewisham Row. Poi lei aveva dovuto togliere il disturbo, e non certo tra gli applausi. Stava ancora cercando di mettere a punto il discorso che gli avrebbe rifilato quando la moglie, Marcie, comparve al cancello insieme alle loro gemelline, Rebecca e Sophia. Le bimbe avevano due costumi da principessa delle fate identici ed entrambe tenevano in mano una zucca di plastica piena di dolcetti. Avevano i capelli scuri. Marcie indossava un paio di leggings neri di lycra, una giacca stretta dello stesso colore e delle orecchie appuntite. Si era truccata da gatta. Erika non riuscì a trattenere una punta di fastidio per la scelta del costume.
«Erika, che ci fai qui?», chiese Marcie. Le due bimbe sollevarono lo sguardo verso di lei. Chissà quanti anni avevano, cinque, sei? Non se lo ricordava proprio.
«Scusa, Marcie. So che non vuoi che mi presenti a casa, ma stavolta è davvero importante. Devo solo parlare con Paul… Non risponde al cellulare».
«Hai provato alla centrale?», disse stringendosi accanto a lei sulla soglia della porta. Erika fece un passo indietro.
«Non risponde neanche lì».
«Be’, qui non c’è».
«Dolcetto o scherzetto!», gridò una delle bambine sollevando la sua zucca di plastica.
«Dolcetto o scherzetto! Possiamo stare sveglie fino a tardi stanotte!», strillò l’altra togliendo di mezzo la prima zucca con la sua. La porta era aperta e Marcie si voltò a guardare le figlie.
«Oh, cielo. Non ho nessun dolcetto», disse Erika rovistando nelle tasche. «Però con queste potete comprarne un po’!». Tirò fuori due banconote da cinque sterline e ne mise una per zucca. Le bimbe spostavano lo sguardo da Erika a Marcie, non sapendo se potevano accettare o meno.
«Wow, com’è gentile Erika, vero? Dite grazie, bambine!», ordinò Marcie. Ma la sua espressione sembrava dire tutt’altro.
«Grazie, Erika», squittirono loro. Erano davvero carine ed Erika rispose con un sorriso.
«Però ricordatevi di lavare i denti dopo tutti quei dolcetti».
Le bimbe annuirono con solennità e l’ispettore tornò a rivolgersi a Marcie.
«Scusa ancora, ma devo davvero parlare con Paul. Sai dov’è?»
«Aspetta un momento…». Marcie spinse le bimbe dentro casa e disse loro di prepararsi per andare a letto. Salutarono Erika con la manina e sparirono dietro la porta. La madre la chiuse.
«Non ti ha detto niente?»
«Non mi ha detto cosa?», chiese Erika, sorpresa.
«Ci siamo separati. Si è trasferito tre settimane fa». Marcie incrociò le braccia e solo allora Erika notò la lunga coda nera che pendeva dai leggings. Dondolava per il vento.
«No, mi dispiace. Non ne sapevo nulla, davvero… Non lavoro più con lui ormai».
«Dove sei adesso?»
«A Bromley».
«Non mi dice mai nulla».
«E quindi, dove abita adesso?»
«Starà nell’appartamento di Foxberry Road finché non troveremo un’altra soluzione…».
Si fissarono per qualche secondo, in silenzio. Certo, Erika faceva un po’ di fatica a prendere sul serio Marcie vestita da gattina. Un soffio di vento gelido vorticò intorno alla casa. Le bambine al piano di sopra urlarono.
«Devo andare, Erika».
«Mi dispiace molto, Marcie».
«Sul serio?», le domandò bruscamente.
«Certo, perché me lo chiedi?»
«Ci vediamo», rispose Marcie. Entrò e chiuse la porta, con un ultimo sventolio della coda.
Erika tornò alla macchina e si fermò a guardare quella stupenda casa. Le luci al piano di sopra si accesero.
«Che hai combinato, Paul, brutto idiota?», mormorò rimontando in macchina.