Passarono tre giorni. Nessuna notizia, né da Moss né da Peterson. Tutto l’entusiasmo e l’ottimismo di Erika scivolarono via e si persero, e non avere nulla da fare peggiorava le cose. Il terzo giorno stava per chiamare Edward e andare a vedere la lapide di Mark, quando il telefono le squillò nella mano.
«Capo, non ci crederai», disse Moss. «È spuntato fuori il telefono di Andrea».
«Dove? Nelle fogne?», chiese Erika afferrando una penna.
«No. In un negozio di cellulari di seconda mano ad Anerley».
«È a pochi chilometri da qui», disse Erika.
«Sì. Crane ha fatto circolare il numero di serie tra i rivenditori di seconda mano della zona, con l’ordine di contattare urgentemente la centrale operativa se fosse spuntato fuori il telefono corrispondente».
«E qualcuno l’ha fatto davvero?»
«Crane ha anche detto che sarebbero stati pagati con il corrispettivo di un iPhone 5S nuovo, il che deve aver reso un bel po’ più appetibile la proposta».
«Come mai è finito ad Anerley?», chiese Erika.
«L’ha trovato una donna. Tutta quella pioggia e la neve sciolta della scorsa settimana hanno fatto traboccare i tombini alla fine di Forest Hill Road. I tubi erano così carichi che per la pressione l’acqua è schizzata fuori dalle fogne e si è aperta dei varchi nell’asfalto. E probabilmente è schizzato fuori anche il telefono. La donna l’ha visto e anche se era ridotto da far schifo ha pensato che poteva farci qualche soldo».
«Ed è a posto? Funziona?»
«No, e lo schermo è a pezzi, ma ci abbiamo messo al lavoro i ragazzi del dipartimento informatico, è diventata la loro priorità. Stanno cercando di estrarre più dati possibile dalla memoria interna».
«Vengo subito lì, Moss».
«No capo, resta tranquilla. Aspetta di avere delle carte valide in mano, poi potrai piombare qui come un uragano».
Erika fece per protestare.
«Davvero, capo. Prometto di chiamarti non appena so qualcosa in più». Moss riattaccò.
Sei lunghe ore di tensione e attesa dopo, Moss richiamò per dirle che il team aveva tirato fuori parecchi dati dal cellulare di Andrea.
Erika prese un taxi e raggiunse l’indirizzo che le aveva dato Moss. La vide davanti all’Unità Crimini Informatici di Londra, che aveva sede in un anonimo isolato di uffici vicino al Tower Bridge. Presero l’ascensore fino all’ultimo piano e sbucarono in un enorme ufficio open space. Le scrivanie erano tutte occupate da agenti dall’aria stanca chini ciascuno sul proprio schermo, con accanto un telefono o un computer in pezzi, oppure un miscuglio di cavi e circuiti.
Sulla parete di fondo c’era una fila di salette video, con i vetri oscurati. Erika rabbrividì al pensiero di ciò che quegli agenti dovevano guardare là dentro.
Un uomo basso e di bell’aspetto, che indossava un maglione di lana logoro, le accolse vicino al distributore dell’acqua. Si presentò come Lee Graham. Lo seguirono fino a un ampio magazzino pieno di file e file di computer, telefoni e tablet sigillati in buste trasparenti. Passarono davanti a uno scaffale basso su cui era poggiato un computer avvolto nella plastica e incrostato di sangue secco.
Lee le condusse fino a una disordinata scrivania nell’angolo più lontano della stanza, sulla quale videro il cellulare di Andrea, malconcio e in frantumi. Era stato aperto e collegato a un grosso PC con due schermi gemelli.
«Abbiamo tirato giù un sacco di roba da questo telefono», disse Lee sedendosi e sistemando meglio uno degli schermi. «L’hard drive era in buone condizioni».
Moss prese due sedie e lei ed Erika si sedettero accanto a Lee.
«Ci sono trecentododici foto», proseguì Lee, «sedici video e centinaia di messaggi di testo che vanno da maggio 2012 a giugno 2014. Ho passato tutte le foto nel nostro software di riconoscimento facciale, che cerca corrispondenze nel database criminale nazionale. Ed è spuntato fuori un nome».
Erika e Moss si scambiarono un’occhiata eccitata.
«Quindi come si chiama il nostro uomo?», chiese Erika.
Lee cominciò a digitare sulla tastiera. «Non il nostro uomo. La nostra donna», disse.
«Cosa?», chiesero Erika e Moss all’unisono. Lee fece scorrere una serie di immagini, poi cliccò su una foto. Un volto familiare.
«Linda Douglas-Brown è nel database della polizia?», chiese Moss, sorpresa. Nella foto c’erano Linda e Andrea sedute al tavolo di un bar. Andrea guardava dritto nell’obiettivo come se volesse sfidarlo e indossava un’immacolata camicetta color crema. I bottoni erano aperti e mettevano in mostra una scollatura abbronzata e florida, con una catenina argentata che riposava tra i seni. Linda invece aveva la pelle arrossata e un’acconciatura trasandata. Indossava una maglia nera a collo alto, che arrivava appena sotto il suo doppio mento. Sopra erano ricamati dei piccoli barboncini che saltellavano. Intorno al collo aveva un grosso crocifisso d’oro. Stringeva la mano di Andrea e aveva un sorriso un po’ brillo.
«È la madre della vittima?», chiese Lee.
«No, sua sorella. Quattro anni in più», disse Erika. Seguì un momento di silenzio.
«Okay. Be’, ho recuperato la sua fedina penale, ve la sto stampando», disse Lee.