Capitolo 37

Il sovrintendente Marsh si stava sforzando di finire la seconda crème brûlée. Era già pieno, ma era davvero troppo buona. Afferrò la coppetta e affondò il cucchiaino nel caramello croccante con un appagante crack. A Natale Marcie l’aveva tormentato per avere un cannello da cucina professionale, promettendogli in cambio di fargli la crème brûlée tutte le settimane. Aveva tenuto fede alla promessa. Quasi.

La guardò illuminata dalla luce delle candele nella loro sala da pranzo. Era seduta al suo fianco al lungo tavolo e stava chiacchierando con un tizio dalla faccia rotonda di cui Marsh non ricordava il nome. Era tutta la sera che tendeva l’orecchio sperando che Marcie lo chiamasse per nome, ma per il momento non l’aveva fatto. Non ricordare il nome dell’insegnante del corso di arte lo avrebbe fatto andare in bianco più tardi, poco ma sicuro, e Marsh in quel momento desiderava Marcie come non mai. I lunghi capelli scuri le ricadevano sulle spalle e indossava un vestito lungo e bianco che sottolineava la curva del seno. Marsh lanciò un’occhiata agli altri tre ospiti seduti alla loro tavola, pensando a quanto fossero poco attraenti al confronto: una donna di mezza età con un rossetto rosso che riusciva a essere allo stesso tempo volgare ed elegante, un uomo anziano con una barbetta incolta e le unghie lunghe – Marsh era convinto fosse venuto solo per mangiare a sbafo – e un tipo magro ed effeminato con i capelli grigio topo legati in una coda di cavallo. Erano immersi in una conversazione su Salvador Dalì.

Marsh si stava chiedendo se fosse tanto scortese offrire il caffè mentre stavano ancora mangiando il dolce, quando qualcuno bussò alla porta. Marcie inclinò il capo e aggrottò la fronte, guardando Marsh.

«Non preoccuparti, vado io», disse lui.

Erika allungò di nuovo il braccio e bussò una seconda volta. Aveva capito che c’erano ospiti: le tende dell’ampia finestra a bovindo erano tirate e lasciavano filtrare un po’ di luce e delle risate attutite. Qualche istante dopo la luce dell’ingresso si accese e Marsh aprì la porta.

«Detective Foster. Cosa posso fare per te?».

Erika notò che aveva un’aria molto attraente con i pantaloni beige e la camicia azzurra con le maniche arrotolate.

«Non risponde alle mie telefonate e avevo bisogno di parlare con lei, signore», disse.

«Non puoi aspettare? Ho degli ospiti», disse Marsh. Notò che Erika aveva in mano un fascio di carte. Sembravano fascicoli di un caso.

«Signore, credo che gli omicidi di Andrea Douglas-Brown e di Ivy Norris siano collegati ad altri tre omicidi. Giovani ragazze ritrovate nelle stesse circostanze in cui è stata rinvenuta Andrea. Gli omicidi hanno avuto luogo a intervalli regolari a partire dal 2013. Tutti i corpi sono stati trovati in acqua all’interno della contea di Greater London…».

Marsh scosse la testa, letteralmente esasperato. «Non ci credo, detective Foster…».

«Signore, erano tutte giovani ragazze dell’Est Europa», disse Erika. Aprì un fascicolo e gli porse una foto di Karolina Todorova scattata sulla scena del crimine. «Guardi. Questa ragazza aveva solo diciotto anni. Strangolata, con le mani legate dietro la schiena con una fascetta di plastica e i capelli strappati sulle tempie. L’hanno buttata in acqua come fosse spazzatura».

«Voglio che te ne vada», disse Marsh.

Lei lo ignorò e tirò fuori altre due foto: «Tatiana Ivanova, diciannove anni, e Mirka Bratova, diciotto. Anche loro strangolate, con le mani legate nello stesso identico modo, i capelli strappati e il corpo gettato in acqua. Tutte in un raggio di quattro chilometri dal centro di Londra. Stessa tipologia di ragazza. Capelli lunghi e scuri, fisico perfetto… Signore, il detective Sparks è in possesso di questi fascicoli da ben due giorni. Le coincidenze sono così ovvie che persino un poliziotto appena uscito da…».

La porta in fondo al corridoio si aprì, lasciando trapelare una risata. Marcie si avvicinò alla porta. «Tom, chi è?», disse. Poi vide la fotografia che Erika stava mostrando, quella di Karolina in acqua, mezza nuda e in decomposizione.

«Che succede?», chiese guardando prima Erika e poi Marsh.

«Marcie. Torna dentro, ci penso io…».

«Vediamo cosa ne pensa Marcie», disse Erika aprendo un altro fascicolo e tirando fuori una grande foto del corpo di Mirka Bratova fotografato in verticale, con il volto deformato dal terrore, foglie e terriccio appiccicati alla pelle pallida e i peli pubici incrostati di sangue.

«Come ti permetti! In casa mia!», gridò Marcie portandosi una mano alla bocca. Erika non richiuse il fascicolo.

«Questa ragazza aveva solo diciotto anni, Marcie. Diciotto. È venuta in Inghilterra per lavorare come ragazza alla pari, invece è stata costretta a prostituirsi. Di sicuro veniva violentata regolarmente e poi è stata brutalmente strangolata. Il tempo passa in fretta, vero? Quanti anni hanno le tue bambine adesso? Prima che tu te ne accorga avranno diciott’anni anche loro…».

«Perché è qui? Non ti stai occupando di questa faccenda al lavoro?», esclamò Marcie.

«Basta così, Erika!», gridò Marsh.

«No, non se ne sta occupando al lavoro!», disse Erika. «Per favore, signore. So che sono state rilevate tracce di un telefono che apparteneva ad Andrea Douglas-Brown. Mi conceda le risorse per ritrovarlo. Su quel telefono ci sono informazioni sulla vita di Andrea, informazioni che lei voleva tenere segrete. E credo che potrebbero portarci da chi ha ucciso lei e le altre ragazze. Guardi di nuovo le foto. Le guardi!».

«Cos’è questa storia, Tom?», chiese Marcie.

«Marcie, torna dentro. Subito!».

Marcie lanciò un’ultima occhiata alle foto e poi rientrò nella sala da pranzo. Si udirono altre risate, che si smorzarono appena richiuse la porta.

«Come osi, Erika!».

«No, signore, come osiamo. Qui non si tratta di me. Sì, non ho rispettato la normale procedura presentandomi a casa sua, anzi mi sono spinta molto al di là dei limiti consentiti. Ma posso convivere con l’idea di essere una rompipalle. Non con quello che è successo a queste ragazze. Davvero lei riuscirebbe a dormire stanotte sapendo che non ci abbiamo nemmeno provato? Ripensi a quando eravamo appena entrati in polizia. Non avevamo nessuna autorità. Invece adesso lei può prendere questa decisione, signore. Tu puoi farlo. Cazzo, addebita a me il costo della squadra, portami in tribunale, non me ne frega niente adesso. Ma guarda queste ragazze, guardale!». Erika gli mostrò di nuovo le fotografie.

«Basta così!», gridò Marsh. Sbatté la porta in faccia a Erika. Scattò la serratura.

«Be’, almeno ci ho provato», disse rivolta alle foto. Chiuse il fascicolo, lo ripose nella borsa e si incamminò in strada.

La donna di ghiaccio - La vittima perfetta - La ragazza nell'acqua
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