Portarono Laura alla centrale di polizia di Bromley, dove le medicarono la gamba prima di sottoporla all’interrogatorio.
Erika, Moss e Peterson la guardavano dalla sala d’osservazione. Sembrava così piccola e vulnerabile, seduta tutta sola a quel tavolo vuoto. Bussarono alla porta. Era John.
«Che cos’ha detto Laura Collins?», domandò.
«Niente», rispose Erika, fissando la fila di monitor. «In macchina non ha detto nulla. Ha rifiutato persino l’avvocato».
«Pensi che ci sia bisogno di una perizia psicologica?», domandò Peterson.
«Se facciamo venire un dottore, ci toccherà rimandare l’interrogatorio», sbottò Erika. «Non siamo mai stati così vicini a…».
«A cosa? Era palesemente sconvolta. E accompagnare sua madre alla centrale di polizia affinché potesse aggredire Trevor Marksman con un coltello in pieno giorno non è sicuramente indice di sanità mentale».
«Peterson, le ho parlato sabato scorso e mi ha detto che non sapeva che sua madre avesse un coltello… Mi è sembrata lucida e perfettamente in grado di sostenere una conversazione, fino a quando non me ne sono andata ed è arrivato Oscar Browne…». La sua voce si perse pian piano. «Un momento, ha rifiutato di avvalersi di un avvocato, anche se conosce bene Oscar?».
Bussarono ancora, e stavolta entrò l’agente Knight insieme a un fascicolo di carta. «Capo, la Range Rover che avete visto allontanarsi dal civico 7 di Avondale Road appartiene a tale Oscar Browne, avvocato della Corona».
Erika, Moss e Peterson si scambiarono un’occhiata.
«D’accordo, grazie», rispose Erika.
«Quando hai detto che Oscar Browne si è presentato a casa sua, capo?», chiese Peterson.
«Sabato. Le avevo chiesto se l’avesse chiamato per la difesa di Marianne e mi ha detto di no, ma poi proprio mentre me ne stavo andando si è presentato lui e l’ha contraddetta. Voglio parlargli. Knight, me lo trovi?»
«Certo, capo», rispose l’agente Knight, uscendo subito dalla stanza.
Erika si voltò di nuovo verso Laura, osservandola oltre il vetro. «Bene, vediamo se comincia a parlare».
Erika e Moss entrarono nella sala interrogatori, mentre Peterson e John rimasero a osservarle dall’altra parte del vetro. Laura non ebbe alcuna reazione quando le due agenti presero posto di fronte a lei. Restò semplicemente accasciata sulla sua sedia con le braccia conserte e lo sguardo fisso.
Erika lesse ad alta voce il nome dei presenti, enunciando anche la data e l’ora. Terminò i preamboli dicendo che Laura aveva rinunciato al patrocinio dell’avvocato.
La donna non smise neanche per un secondo di fissare il tavolo.
«Laura. Come ci sei finita qui dentro?», chiese Erika. «Non ci hai dato altra scelta, abbiamo dovuto arrestarti. Perché sei scappata?».
Silenzio.
«Il giorno in cui tua madre ha aggredito Trevor Marksman mi hai detto che un giornalista vi aveva chiamato a casa e vi aveva fatto una soffiata. Abbiamo controllato i tabulati di quel giorno: risultano tre chiamate. Due la mattina, dal cellulare di tuo marito, e una poco prima dell’una, da parte di Oscar Browne».
Laura non disse una parola, lo sguardo sempre, costantemente fisso. Erika aprì un fascicolo sul tavolo ed estrasse il certificato di nascita di Jessica, facendolo lentamente scivolare dall’altra parte del tavolo. Laura lo guardò, spalancando gli occhi.
«Sappiamo che Jessica era tua figlia. Perché la tua famiglia ha sempre cercato di nasconderlo?».
Silenzio.
Erika tirò fuori anche la fotocopia del passaporto di Gerry O’Reilly e l’identikit. «Sappiamo che quest’uomo, Gerry O’Reilly, è il vero padre di Jessica. E sospettiamo che sia il responsabile dell’omicidio di ben due agenti di polizia. Che puoi dirci su di lui?».
Una singola lacrima le scivolò sulla guancia, ma Laura l’asciugò subito con la manica della maglia.
Silenzio.
«L’hai incontrato nelle settimane passate? Ma perché hai rinunciato all’avvocato?».
Laura si morse un labbro, quasi con aria di sfida. Poi sollevò lo sguardo, fissò Erika negli occhi e disse: «No comment».
«Sai che c’è, Laura? Sono stanca. Siamo tutti stanchi. Per anni la polizia ha lavorato duramente per trascinare l’assassino di tua figlia di fronte alla giustizia. Anche se all’epoca credevamo che fosse tua sorella. Tanti agenti si sono sacrificati, impegnandosi al massimo per trovare il responsabile. Due di loro hanno persino perso la vita… E tu non fai altro che startene lì, nascondendoci informazioni importanti e dicendo “no comment”!». Erika sbatté la mano sul tavolo.
«No comment», ripeté lei.
«E va bene, Laura. Ti va di giocare? Giochiamo. Sbattila in cella».