Alle diciotto e trenta Erika era così tesa che avrebbe potuto arrampicarsi sulle pareti del minuscolo appartamento di Keith con le unghie. Il telefono in borsa finalmente squillò, lo prese subito. Era un SMS da parte di Marsh:
STIAMO SMONTANDO A WATERLOO. NON SI È PRESENTATA. DOBBIAMO PARLARE. TI CHIAMO IO STASERA.
«Che è successo?», chiese Keith fissando preoccupato Erika che si reggeva la testa tra le mani.
«Ha dato buca all’appuntamento…», rispose. «Tu non hai ricevuto nessun messaggio da parte sua, vero? Non ti ha scritto nella chat?».
Keith fece di no con la testa.
«Sicuro?»
«Sì, sono sicuro. Guarda anche tu, sono connesso…».
Erika si sentiva un macigno enorme sullo stomaco. Come se qualcuno le avesse sparato contro una pesantissima palla di cannone. Si asciugò il volto madido di sudore.
«Senti, Keith, dobbiamo spegnere qualche luce qua dentro. C’è un caldo insopportabile…».
«No! Mi dispiace, ma no. Te l’ho già detto, non mi piace il buio…».
Erika fissò l’orologio. Si sentiva completamente devastata.
«Che succede ora?», domandò Keith.
«Devo aspettare la chiamata del mio superiore… Stasera…».
«E a me? Cosa accadrà a me?»
«Uhm, non lo so. Ma manterrò la mia promessa». Erika fissò Keith, costretto su quell’enorme sedia a rotelle. Lo aveva appena aiutato a cambiare la bombola dell’ossigeno.
Aveva preso una decisione. «Devo uscire per un’oretta, più o meno… Posso lasciarti qui da solo? Ricorda che hai ancora il computer sotto controllo. Posso fidarmi? Non proverai a scappare, vero?»
«Tu che dici?», rispose Keith.
«Va bene. Allora, questo è il mio numero di telefono», disse scarabocchiando le cifre su un pezzettino di carta. «Vado a prendere un po’ d’aria… Vuoi che ti porti qualcosa? Che ne so, delle patatine?».
Keith s’illuminò in viso.
«Salsiccia, patatine e purè di piselli, per favore. Il ristorante di fronte al porto è il migliore. La mia infermiera va sempre lì».
Erika uscì al fresco del lungomare. Il sole affondava fra le onde, cedendo il passo a una brezza leggera che si alzava dalla spiaggia. Rilesse il messaggio di Marsh e provò a telefonargli. La chiamata venne rifiutata e deviata verso la segreteria telefonica.
«Merda», mormorò. Raggiunse un bar che aveva visto poco più giù. Le finestre erano spalancate e dentro era pieno di uomini chiassosi rossi in faccia e di donne ubriache. L’impianto stereo sparava a tutto volume la Macarena, mentre Erika si faceva strada a fatica verso il bancone e ordinava un bicchiere di vino. La barista era veloce e la servì alla svelta, sbattendo il calice sul piano.
«Posso portarmi il bicchiere in spiaggia?», chiese Erika. La ragazza non rispose, ma si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a travasare il vino in un grosso bicchiere di plastica.
«Potrei avere anche del ghiaccio?», aggiunse Erika.
Prese il bicchiere, comprò un altro pacchetto di sigarette alla macchinetta e raggiunse la spiaggia. La marea si era ritirata, si sedette sul bagnasciuga, con lo sguardo rivolto alla distesa di sabbia bagnata. Proprio mentre si accendeva la sigaretta, il telefono cominciò a squillare. Appoggiò il bicchiere sulla sabbia e rispose alla svelta. Spalancò gli occhi appena sentì la voce.