Di fronte alla casa di Amanda Baker c’era già una volante della polizia quando arrivarono Erika e John. Due poliziotti, un uomo e una donna, stavano parlando con il postino che Erika aveva incontrato la prima volta che aveva fatto visita alla donna. Sembrava decisamente scosso.
«Salve, sono l’ispettore capo Foster e lui è l’agente McGorry», si presentò quando li raggiunsero. Tirarono fuori i distintivi. Qualche porta più giù, un paio di vicini osservavano la scena davanti ai loro cancelli.
«Io sono l’agente Desmond e lui è l’agente Hewitt», rispose la giovane donna. «Nessuno è ancora riuscito a entrare nella proprietà. Abbiamo provato a forzare la porta, ma non cede».
«Ci sono dei giornali impilati dall’altro lato», disse il postino, con il volto cinereo.
Erika si avvicinò alla finestra e sbirciò tra le tende. Riuscì a distinguere appena due piedi che penzolavano, con addosso soltanto i calzini. Sentì un brivido di paura gelarle la schiena.
«Io di solito uso la finestra, non si chiude bene. Glielo dicevo in continuazione di farla aggiustare».
«Un ottimo accesso per un aggressore. Non voglio contaminare le tracce per la scientifica», bisbigliò Erika a John.
«Ma capo, tutto porta a pensare che si sia impiccata», rispose.
Erika guardò di nuovo dalla finestra. C’era qualcosa che non quadrava. Amanda non le era mai sembrata un soggetto a rischio di suicidio. E poi, quando le aveva dato quel passaggio, il giorno del funerale, le era apparsa carica di vita ed entusiasmo.
«Passiamo dal retro», disse.
Forzarono il cancelletto laterale e percorsero il vialetto che attraversava il cortile. La porta di servizio era spalancata.
«Merda», disse Erika sottovoce.
Fece strada, con John e gli altri agenti al seguito, addentrandosi nella cucina. Era ben pulita. Ogni cosa era linda e ordinata. La porta del corridoio era chiusa, si avvicinarono lentamente. Uno scricchiolio di un’asse del pavimento li fece fermare di botto. Proveniva dall’altro lato della porta chiusa. Gli agenti tirarono fuori il manganello.
«Polizia! Venga fuori con le mani in vista», disse Erika.
Seguì un momento di silenzio. E poi altri scricchiolii, più numerosi, più intensi. Uno strappo, uno schianto e un boato terribile che scosse le assi del pavimento, seguito da una pioggia di detriti che si abbatté sulle scale.
Rimasero immobili per qualche secondo mentre il silenzio riecheggiava per la casa. Erika si voltò verso gli altri agenti e annuì. Aprì rapidamente la porta.
Il corpo di Amanda Baker era accasciato a terra ai piedi delle scale, in una posizione del tutto innaturale. Indossava soltanto una camicia da notte bianca e un paio di calzini blu. Il braccio e la spalla sinistri erano bloccati dietro la schiena e il ginocchio destro sembrava slogato. Polvere e pezzi di intonaco ricoprivano tutto il corpo, e poco distante c’era un pezzo di legno: la botola della soffitta. Nell’aria vorticavano minuscole particelle di polvere.
«È caduto dal soffitto», disse John, coprendosi la bocca e indicando un buco in cima alle scale. Erika si riparò gli occhi dalla polvere e dai pezzettini di intonaco che continuavano a cadere giù. Pian piano si avvicinò al corpo di Amanda, notando il viso viola e rigonfio. Stretto intorno al collo c’era un cappio. E gli occhi erano ancora aperti.