Isaac aprì la porta, indossava un paio di pantaloncini e una maglietta senza maniche. Lo accompagnava un delizioso odorino di cibo.
«Wow, ma chi è questa donna bellissima ed elegante?», disse, vedendo Erika con il suo vestitino estivo, i capelli raccolti che facevano risaltare gli orecchini argentati.
«Lo dici come se di solito andassi in giro conciata come una barbona», rispose lei.
«No, ma oggi ti sei messa in ghingheri», disse Isaac tutto sorridente. Si abbracciarono ed Erika entrò, porgendogli una bottiglia di vino bianco ancora fredda. Andarono in cucina dove, con suo grande piacere, Erika scoprì di essere l’unico ospite della serata.
«Stephen deve scrivere… Si scusa e ti manda i suoi saluti. Sai com’è, la scadenza per il nuovo libro si avvicina», disse Isaac. La bottiglia di vino si aprì con un piacevole pop quando il tappo venne via. «Ci beviamo un bicchiere in balcone, mentre fumiamo una sigaretta? Che ne dici?».
Uscirono con la bottiglia e si misero a fumare. Il sole stava tramontando e gettava un’ombra lunga e dolce sulla città che si estendeva davanti a loro. «Che meraviglia», disse Erika bevendo il primo sorso.
«Prima che me ne dimentichi, Stephen mi ha chiesto di darti una cosa», disse Isaac. Scomparve per qualche momento dentro casa, per poi riapparire con un libro in mano. «È il suo ultimo romanzo. Cioè, l’ultimo che è stato pubblicato…».
«Dalle mie fredde mani morte», disse Erika, leggendo il titolo ad alta voce. Sulla copertina c’era una donna che sollevava il coperchio di una bara con le mani pallide. Stringeva una lettera che grondava sangue.
«È il quarto volume della serie dell’ispettore Bartholomew, ma sono tutte storie a sé stanti quindi non devi per forza aver letto le altre. Ti ha fatto una dedica», disse Isaac, prendendole il bicchiere in modo che Erika potesse leggerla.
«“Dalle mie mani, calde e vive, alle tue, Erica. Con affetto, Stephen”», lesse. Notò che aveva scritto il suo nome con la c invece che con la k. Stava per dirlo a Isaac ma appena alzò gli occhi capì quanto era importante per lui che accettasse quel regalo e si sforzasse di fare amicizia con Stephen. «È stato un pensiero stupendo. Lo ringrazierò di persona appena ne avrò l’occasione». Infilò il libro in borsa e riprese il calice di vino.
«Noi due siamo a posto?», le chiese. «Sai, la cena della settimana scorsa. Ho fatto un casino, lo so e…».
«Ti sei già scusato, almeno tre volte. Certo che va tutto bene». Erika stava per aggiungere qualcosa quando il cellulare cominciò a squillare.
«Scusami un secondo», disse rovistando nella borsa. Era Marsh. «Perdonami, devo rispondere».
«Ti lascio un po’ di privacy allora», disse Isaac tornando di nuovo in casa.
«Pronto, signore», disse Erika.
«Ma chi diavolo ha autorizzato Peterson ad arrestare Gary Wilmslow?», urlò.
«Cosa?»
«Peterson ha arrestato Wilmslow un’ora fa, e l’ha buttato in una maledetta cella! Woolf l’ha già schedato ed è dentro che aspetta l’avvocato, dannazione!».
«Dove lo ha arrestato?», chiese Erika. Le si gelava il sangue.
«A Laurel Road…».
«Ma ero lì fino a qualche minuto fa».
«Be’, saresti dovuta rimanere, cavolo. A quanto pare Gary Wilmslow è entrato in casa dicendo di dover prendere delle cose. E Peterson ha visto che era una partita di sigarette».
«Sigarette?»
«Sì, poca roba. Da vendere al mercato nero».
«Merda».
«Erika, se finisce dentro per un paio di pacchetti di sigarette di contrabbando perderemo il nostro legame diretto con l’Operazione Hemslow… Mesi e mesi di fottutissimo lavoro!».
«Certo, signore, capisco».
«Io credo di no, invece! Perché diavolo hai lasciato che Peterson lo arrestasse? Hai sentito anche tu cos’ha detto Oakley alla riunione. Tu indaghi sulla morte di Gregory Munro e Gary Wilmslow non c’entra un bel niente! Io sto tornando da una conferenza a Manchester. Ora va’ subito in centrale e controlla i tuoi cazzo di uomini. Liberalo su cauzione o, meglio ancora, trova uno stratagemma per appioppargli una multa e lascialo andare di corsa!». Marsh buttò giù.
«Problemi?», chiese Isaac tornando in balcone con un enorme piatto di ceramica pieno di formaggi e olive. Erika lanciò uno sguardo colmo di desiderio al cibo.
«Era Marsh. Peterson ha combinato un casino. Mi tocca andare a sistemare tutto». Bevve un altro sorso di vino e gli restituì il bicchiere.
«Proprio ora?»
«Già. Le gioie del mio lavoro. Mi dispiace. Non so quanto potrò metterci, ti faccio sapere», disse correndo verso la macchina.
Isaac rimase sul balcone a osservare la città, consapevole che non avrebbe avuto notizie dalla sua amica tanto presto. A meno che non ci fosse di mezzo un cadavere.