Il giorno seguente Erika arrivò alla stazione di Lewisham Row alle sette e mezzo. Era stata convocata a una riunione strategica, indetta in fretta e furia quando aveva comunicato a Marsh che stava ancora lavorando sul caso, e che anzi avevano scoperto che il serial killer era una donna.
Parcheggiò e scese, sfidando il caldo della giornata. Le gru ronzavano ancora intorno agli imponenti edifici in costruzione, il cielo era umido e pesante. Si stavano formando delle nuvole basse e grigie, brillavano come acciaio sotto i raggi del sole. Erika chiuse l’auto e si diresse verso l’entrata. Una tempesta stava per abbattersi fuori e dentro la stazione di polizia.
«’Giorno, capo», la salutò Woolf non appena mise piede nell’ingresso. Era chino su un quotidiano e aveva quasi finito di divorare la brioche alla crema che teneva nella mano sinistra. Una pioggia di briciole cospargeva l’articolo del «Daily Star» sulla morte di Jack Hart. Il titolo recitava: GIALLO SULLA MORTE DI JACK HART: ALLARME SERIAL KILLER.
«Merda», disse Erika, sporgendosi per leggere meglio.
«C’è anche un inserto speciale», disse Woolf, tirando fuori un fascicoletto. Copertina nera e lucida, con una gigantesca foto di Jack Hart. Sopra la testa campeggiava la scritta RIP. «Attenta, se lo prendi in mano ti sporchi», si lamentò Woolf, mostrando le macchie nere che l’inchiostro gli aveva lasciato sul palmo.
«Magari l’hanno fatto apposta. È una metafora», commentò Erika, mentre passava il tesserino.
«Davvero credi che l’abbia ucciso una donna?», chiese Woolf sollevando un sopracciglio.
«Sì», rispose Erika, aprendo la porta e inoltrandosi nel cuore della stazione.
Avevano aggiustato l’aria condizionata nella sala conferenze, e non ce ne sarebbe stato bisogno, dato che adesso l’atmosfera era gelida. Intorno all’immenso tavolo rotondo sedevano Erika, il sovrintendente capo Marsh, Colleen Scanlan, il profiler Tim Aiken e il commissario aggiunto Oakley.
Oakley decise di tagliare subito la testa al toro. «Ispettore capo Foster, mi dicono che è giunta alla conclusione che questi omicidi siano stati commessi da una donna. E la cosa mi preoccupa parecchio».
«Signore, le serial killer di sesso femminile esistono», rispose Erika.
«Questo lo so! Il punto è che le prove del caso sono esigue. Tracce di DNA dall’impronta di un orecchio a casa di Jack Hart, sulla porta di servizio…».
«Signore, abbiamo trovato anche delle cellule epiteliali sulla busta di plastica intorno alla testa di Hart. È morto soltanto dopo diversi minuti, e abbiamo ragione di credere che abbia opposto resistenza, colpendo l’assassino dritto in faccia».
Oakley inclinò la testa e non rispose. Era una tattica che usava spesso, Erika lo sapeva bene. Il silenzio. Lo faceva per intimidire l’interlocutore, inducendolo a balbettare o dire qualcosa da utilizzare poi contro di lui. Così Erika si chiuse nel silenzio a sua volta.
«Bene, aspetto di sentire cosa può dirci Tim a riguardo», disse Oakley, voltandosi a guardare il profiler. Aveva i capelli spettinati e la barba incolta.
«Le uniche prove che indicano che si tratti di una donna provengono dall’impronta dell’orecchio sulla porta di servizio e dal sacchetto di plastica. Le spiegazioni possono essere diverse. La porta, per esempio, è stata riverniciata sei settimane prima dell’omicidio ed è possibile che l’impronta appartenga alla persona che ha svolto il lavoro. C’è già stato un precedente un paio di anni fa: una violazione di domicilio in cui hanno perso la vita un uomo e una donna. La scientifica ha trovato un’impronta di un orecchio e la polizia l’ha portata in tribunale come prova, ma dopo vari controlli si è scoperto che il presunto colpevole era semplicemente un idraulico che aveva fatto dei lavori in casa».
«E che spiegazione ha per le cellule epiteliali, invece?», domandò Erika.
«La lavanderia è anche il posto in cui Jack Hart teneva gli attrezzi e gli strumenti per il giardinaggio. Nel rapporto della scena del crimine si afferma che c’erano due cassetti contenenti sacchetti di plastica per la pattumiera, sacchetti frigo e vecchi giornali. È possibile che la stessa persona che ha lasciato l’impronta dell’orecchio sulla porta abbia aperto i cassetti e contaminato il contenuto con il suo DNA».
«L’arma del delitto non è un semplice sacchetto di plastica. È una suicide bag o exit bag. Un oggetto particolare che si ordina online».
«Sì, ma questa suicide bag non è poi così diversa da una banale busta che viene utilizzata in casa per un’infinità di scopi diversi. Lasciando da parte per un momento le prove fisiche, il profilo è più conforme a un assassino di sesso maschile. Non dobbiamo dimenticare che nel caso della prima vittima, Gregory Munro, potremmo trovarci di fronte a un crimine sessuale… Ed entrambi i corpi sono stati ritrovati a letto, completamente nudi. Non vorrei tirare in ballo gli stereotipi, ma serial killer di sesso femminile sono incredibilmente rare e ci servono prove più sostanziose prima di abbandonare la teoria del colpevole maschio bianco».
«Quindi secondo lei dobbiamo ignorare le prove che abbiamo per affidarci alle statistiche?», domandò Erika.
«La copertura mediatica è formidabile», li interruppe Colleen, che aveva un mucchio di giornali di fronte a sé.
«Dobbiamo rilasciare una dichiarazione. È estate, un periodo sostanzialmente morto per i giornali. Non hanno niente da raccontare a parte l’ondata di caldo. Un serial killer riceverà un’attenzione speciale».
«Io credo che la responsabile dei due omicidi sia una donna», disse Erika. «Se l’impronta dell’orecchio sulla porta di servizio fosse l’unica prova di DNA che abbiamo, allora consiglierei di procedere con cautela. Ma anche sul sacchetto di plastica usato per uccidere Jack Hart c’erano tracce di DNA femminile, e presto avremo notizie anche dal rivenditore online – hanno accettato di fornirci una lista di acquirenti. Abbiamo maggiori possibilità di prendere l’assassino se seguiamo la pista femminile. Suggerisco di procedere con una ricostruzione dei fatti. Vorrei che Colleen contattasse Crimewatch, il programma della BBC. Trasmetteranno a giorni la puntata del mese e potremmo ricostruire insieme a loro gli ultimi movimenti di Gregory Munro e Jack Hart fino al momento dell’omicidio».
Nessuno rispose. Colleen guardò prima Marsh e poi Oakley.
«Sei particolarmente silenzioso oggi, Paul», disse il commissario aggiunto.
«Sono d’accordo con l’ispettore capo Foster», rispose Marsh. «Sento che questo è un caso unico e, sulla base delle prove che abbiamo, mi sembra più prudente concentrarci sulla ricerca di una donna. Tuttavia, suggerisco all’ispettore di tenere presente che questa donna potrebbe aver collaborato con un uomo. E dobbiamo invitare il pubblico a fare lo stesso».
«Ma non ci sono precedenti, o quasi. In tutta la mia carriera nel corpo di polizia non ho mai visto una donna serial killer», ribatté Oakley.
«Forse dovrebbe uscire più spesso, signore», disse Erika. Marsh la fulminò con lo sguardo.
«Bene, la decisione è sua, Erika, ma sappia che non la perderò di vista un istante», rispose Oakley.
Erika abbandonò la riunione e, incoraggiata dalla vittoria, scese le scale verso la sala operativa. Sentì che la porta al piano di sopra si apriva di nuovo e, sollevando lo sguardo, vide uscire il sovrintendente Marsh. Si fermò ad aspettarlo. Si incontrarono sul pianerottolo, dove una gigantesca vetrata si affacciava sulla distesa di Greater London. Nuvole grandi e scure incombevano all’orizzonte.
«Grazie per il suo sostegno, signore», disse Erika. «Ci mettiamo subito al lavoro con Crimewatch».
«La ricostruzione televisiva delle vicende è una grande occasione, Erika. Non sprecatela».
«No, signore».
«Erika. Non sono sicuro al cento per cento che si tratti di una donna. Ma come ho detto, la decisione spetta a te».
«Ho un ottimo curriculum, signore. Sa anche lei che mi sbaglio raramente su queste cose. Trovo sempre il colpevole».
«Lo so».
«Allora, a proposito di curriculum, novità sulla promozione?»
«Prima prendi questa stronza psicopatica, poi parleremo di promozioni», disse Marsh. «Ora devo andare. Tienimi aggiornato».
Se ne andò lasciando Erika in piedi sulle scale, a osservare la città dalla finestra.
Che buffo, quante cose abbiamo in comune io e l’assassina, pensò Erika. Le nostre capacità sono messe in dubbio solo perché siamo donne.