Erika, Moss e Peterson stavano per entrare nella saletta numero tre per parlare con Linda, quando l’avvocato ricordò loro che per legge i sospettati avevano diritto a un pasto. Un’ora dopo era già tardo pomeriggio. La giornata stava volando via.
«Linda, sai perché ti abbiamo arrestata?», chiese Erika.
Linda si appoggiò allo schienale, calma e tranquilla. «Perché pensate che abbia qualche informazione. Siete convinti che sappia chi ha ucciso Andrea? O forse pensate che l’abbia uccisa io. O magari che abbia sparato anche a Martin Luther King o a JFK?»
«Non c’è niente da ridere, Linda. Stiamo parlando di Igor Kucerov, noto anche come George Mitchell. Andrea aveva una relazione con lui prima e durante il suo fidanzamento con Giles», disse Erika posando una fotografia sul tavolo.
Linda osservò le fotografie disposte davanti a lei, fissando quelle più esplicite con aria impassibile.
«Sappiamo che è stato lui a scattare questa foto di te e Andrea», aggiunse Erika.
«No, non è vero». Linda tirò su con il naso e guardò prima Erika e poi Peterson. «Come fate a saperlo?»
«Perché abbiamo arrestato Igor Kucerov. È sospettato dell’omicidio di Andrea e di quelli di Tatiana Ivanova, Mirka Bratova, Karolina Todorova e Ivy Norris. Lo stanno interrogando nella saletta qui accanto», disse Erika.
«È una bugia. E io non parlo con i bugiardi. Sono tenuta a parlare con loro?», chiese Linda guardando il suo avvocato.
«Avete qualche prova che la fotografia della mia cliente sia stata scattata dall’uomo di cui state parlando?», chiese lui.
Erika lo ignorò. «Ricordi una ragazza di nome Barbora? Un’amica di Andrea».
«Sì».
«È venuta in vacanza un paio di volte con la tua famiglia».
«Era una ragazza dolce, forse troppo. E anche avida. Ma era comunque troppo per Andrea, e infatti – sorpresa, sorpresa – lei l’ha cacciata via».
«In che senso l’ha cacciata via?»
«Oh, faceva sempre così. All’inizio pensava che Barbora fosse la persona migliore del mondo, poi l’entusiasmo è svanito. La faceva sentire come la parente povera. L’ultima volta che è venuta in vacanza con noi Barbora aveva perso un sacco di peso, era smunta. Andrea pensava che fosse super alla moda: probabilmente è bastato questo perché decidesse di scomunicare quella povera ragazza».
«Andrea vi ha detto dov’era andata a finire Barbora?»
«Ci ha detto solo che si era trasferita. Perché?», chiese Linda socchiudendo gli occhi.
Erika le raccontò del legame di Barbora con Igor, le disse che aveva avuto una relazione con lui parallela a quella di Andrea.
«Posso ricordarle che queste informazioni sono state secretate?», disse l’avvocato.
«Che Barbora Kardosova abbia avuto una relazione con Igor Kucerov, che facesse parte del programma di protezione testimoni e che si sia suicidata non sono informazioni riservate», disse Erika. Si accorse che Linda stava tremando e aveva gli occhi pieni di lacrime.
«Come si è uccisa?», chiese Linda.
«Si è impiccata. Era terrorizzata. Ora capisci quanto è importante per noi scoprire la verità su Igor Kucerov? Quell’uomo è collegato direttamente ad Andrea».
Linda si asciugò le lacrime. «L’ho incontrato un paio di volte, in un club a Kensington e in un pub a Chiswick. Come ho detto altre volte, Andrea attirava l’attenzione di un sacco di uomini, li teneva al guinzaglio. Per lei erano come assorbenti interni: se li teneva tra le gambe per un po’ e poi li buttava via».
Calò il silenzio. L’avvocato non riuscì a nascondere il suo disgusto. Erika aprì un fascicolo, prese il biglietto che aveva ricevuto e lo posò davanti a Linda.
«Che sai dirmi di questo?», chiese Erika guardando Linda dritto in faccia.
«Mi ha già fatto vedere questo biglietto. Quando è venuta al negozio». Alzò lo sguardo su Erika. «A quanto ho capito gliel’ha mandato qualcuno, giusto?»
«Sì. E come puoi vedere, non è solo indirizzato personalmente a me: chi l’ha scritto si vanta con la polizia dell’omicidio di Andrea e delle altre vittime».
«Perché me lo sta mostrando?», chiese Linda, glaciale.
«Linda, abbiamo visto la tua fedina penale. Mandare messaggi di minaccia è un po’ una tua abitudine. Hai mandato delle lettere a Giles Osborne e anche ad altri. Insegnanti, un dottore, amici di Andrea. Hai persino scritto delle lettere a Barbora. Ne parla nel colloquio che abbiamo registrato».
«Detective Foster, ci troviamo nuovamente di fronte a indizi circostanziali», disse l’avvocato. «Lei sta cercando forzatamente di fare dei collegamenti e di costringere la mia cliente a parlare. Ma non otterrà ciò che vuole».
«Be’, la scelta spetta a lei. Può parlare oppure lasciare che sia il suo silenzio a condannarla. Linda, qui si tratta di te, di tuo padre, di Giles, di Barbora e di Igor. Siete tutti collegati. Abbiamo il tuo computer e stiamo controllando l’hard disk. Abbiamo anche il computer di tuo padre e di Giles. Prima o poi scopriremo il collegamento, è solo questione di tempo. Parlami, Linda, posso aiutarti».
«No, non lo farò», disse lei, raddrizzandosi sulla sedia. Tolse un po’ di lanugine dal maglione e poi guardò gli agenti. Ora sembrava avere il pieno controllo delle sue emozioni. Erika riusciva a malapena a nascondere la propria frustrazione.
«Ti piacciono i gatti, Linda?», chiese Peterson.
«Oh, caro, siamo proprio alla frutta, eh?». Linda sorrise maliziosamente. «Signor Lloyd, devo rispondere? Non vorrei essere coinvolta anche in uno scandalo a sfondo felino».
L’avvocato alzò gli occhi al cielo e annuì.
«Sì, detective Peterson, mi piacciono i gatti».
«E ne hai uno?»
«No, in questo momento no», rispose lei fredda.
«Avete altre domande pertinenti?», chiese il signor Lloyd.
«No, per il momento è tutto», disse Erika tentando di salvare almeno la faccia. Quando uscirono nel corridoio, Woolf la stava aspettando.
«Che c’è?», lo apostrofò lei.
«Marsh».
«Non adesso. Lo richiamo io».
«È qui, nel suo ufficio. Vuole parlarti».