Capitolo 48

Moss reagì in fretta, chiamò aiuto e nel giro di pochi minuti l’appartamento di Erika era pieno di agenti. Arrivò la scientifica che le raccolse dei campioni dalle unghie e dal collo. Poi dissero a Erika che avevano bisogno dei suoi vestiti.

L’anziana dirimpettaia era stata piuttosto riluttante ad aprire la porta a Moss, ma quando aveva visto la polizia, l’ambulanza e gli agenti della scientifica che facevano su e giù per le scale si era un po’ addolcita e li aveva lasciati entrare.

Erika indossava una tuta bianca, ogni cosa nel suo appartamento adesso faceva parte della scena del crimine. Due paramedici arrivarono a fasciarle il braccio mentre lei sedeva sul piccolo divano nel salotto dell’anziana vicina. Dentro una gabbia, in alto sulla parete, due pappagallini saltellavano e si beccavano.

«Oh cara, ti va una tazza di tè?», chiese la donna a Erika mentre i paramedici, un uomo e una donna, la visitavano.

«Non credo che il tè caldo sia una buona idea», disse l’uomo.

Erika vide il proprio riflesso nello specchio dorato appeso sopra il camino, che era leggermente inclinato in modo da mostrare l’intero salone. La gola e il collo erano gonfi e avevano dei brutti segni rossi, il bianco dei suoi occhi aveva un colore rosaceo. Nell’angolo dell’occhio sinistro era comparsa una macchia rossa.

«Lì dev’essere scoppiato un capillare», confermò il paramedico, illuminandole l’occhio con una penna. «Riesci ad aprire la bocca? Ti farà male, ma spalancala più che puoi».

Erika deglutì dolorosamente e aprì la bocca.

Il paramedico spostò la luce. «Okay, così va bene. Adesso riesci a tenerla aperta e a fare un profondo sospiro?».

Erika ci provò, ma le si mozzò il respiro.

«Okay, tranquilla… non vedo segni di frattura della laringe né di edema alle vie respiratorie».

«Quindi va tutto bene?», chiese Moss, affacciandosi alla porta. Il paramedico annuì.

«Che ne pensate di qualcosa di freddo da bere? Ho del cordiale al ribes nero in frigo», propose l’anziana, in vestaglia, con una fila di bigodini azzurri sotto la retina per capelli.

«Solo un po’ d’acqua», disse la paramedico. «Hai altre ferite? A parte il braccio?», aggiunse. Erika scosse la testa e fece una smorfia.

«Resta qui tranquilla, capo, vado a parlare con la squadra nel tuo appartamento», disse Moss uscendo.

«Noi vi aspetteremo di sotto. Bisognerà mettere dei punti sul braccio», disse la paramedico dopo aver applicato sui tagli un bendaggio a pressione. Erika annuì, loro richiusero la valigetta del pronto soccorso e se ne andarono. La signora anziana tornò con un bicchiere d’acqua. Erika lo accettò con gratitudine e fece un sorso. Tossì e l’acqua le andò di traverso. La signora accorse subito con un fazzoletto.

«Riprova tesoro, a sorsetti piccolissimi», disse tenendole il fazzoletto sotto il mento. Erika riuscì a fare qualche piccolo sorso, ma la gola le bruciava tremendamente.

La signora continuava a parlare: «Che fine ha fatto il quartiere! Quando mi sono trasferita qui, nel 1957, ci conoscevamo tutti, potevi persino lasciare la porta di casa aperta. Eravamo una vera comunità. Ma di questi tempi… non passa una settimana senza che ci sia una rapina o un furto in casa… Io ho messo le inferriate a tutte le finestre e ho un sistema di allarme».

Diede un colpetto a un piccolo pulsante rosso che portava al collo. Qualcuno bussò alla porta. La donna si alzò e ritornò pochi istanti dopo.

«C’è un tizio nero che sostiene di essere un agente di polizia», disse con aria a dir poco diffidente, rientrando nella stanza insieme a Peterson.

«Cazzo, capo», disse lui.

Erika gli sorrise debolmente.

«Sei il suo capo?», chiese la donna. Erika scrollò le spalle e annuì.

«Sei una poliziotta?»

«È un detective ispettore capo», disse Peterson. «Abbiamo mandato un sacco di agenti a bussare di porta in porta, ma niente… Chiunque sia stato se l’è filata».

«Santo cielo! Se è successa una cosa del genere a un detective ispettore capo cosa può accadere a noialtri? Chiunque sia stato di certo non ha paura di niente. Tu chi sei?», chiese la signora a Peterson.

«Un poliziotto».

«Sì caro, ma che grado hai?»

«Detective ispettore», disse Peterson.

«Sai chi mi ricordi?», disse la donna. «Come si chiama quel programma sul poliziotto nero?»

«Luther», rispose Peterson, sforzandosi di dissimulare la sua irritazione.

«Oooh sì, Luther. Lui è proprio bravo. Te l’hanno mai detto che gli assomigli?».

Nonostante tutto quello che era successo, Erika sorrise.

«Di solito persone come lei me lo dicono», rispose Peterson.

«Oh, grazie», rispose l’anziana, senza capire il significato delle sue parole. «Cerco di guardare degli sceneggiati di qualità in televisione, non quei reality show, o come si chiamano. Che grado ha Luther?»

«Credo sia un detective ispettore capo. Senta…».

«Be’, se può farcela lui, puoi farcela anche tu», disse la signora dandogli una pacca sul braccio.

«Signora, può scusarmi un momento?», chiese Peterson. La donna annuì e se ne andò. Lui alzò gli occhi al cielo. Erika tentò di sorridere, ma le faceva troppo male.

«Che cazzo, capo, mi dispiace». Peterson tirò fuori il taccuino e lo sfogliò fino a una pagina pulita. «L’aggressore ha preso qualcosa?».

Erika scosse la testa e scrollò le spalle. Riuscì solo ad annuire o a fare segno di no mentre Peterson le faceva le domande standard, ma le uniche informazioni che poté fornire era che il suo aggressore era alto e forte.

«Che stupida che sono stata». Erika deglutì, sentendo una fitta di dolore. «Avrei dovuto…». Mimò il gesto di strappar via il passamontagna.

«Capo, è tutto a posto. Sembra sempre tutto più semplice dopo», disse Peterson. Moss ritornò, con in mano il rivestimento della ventola del bagno.

«È entrato usando i tubi di ventilazione», disse.

«Era… non lo so, credo che fosse un uomo», gracchiò Erika.

«Capo, quelli della scientifica ne avranno per tutta la notte. Ha un posto dove stare?», chiese Peterson.

«Hotel», gracchiò Erika.

«No, capo, puoi venire da me», disse Moss. «Ho una camera per gli ospiti e posso anche prestarti qualcosa da metterti… certo, sembrerai un’adolescente degli anni Novanta».

Erika tentò di nuovo di ridere, ma le faceva ancora troppo male. In uno strano e contorto modo era compiaciuta. L’aggressore era venuto a cercarla. Voleva dire che lei gli stava addosso.

La donna di ghiaccio - La vittima perfetta - La ragazza nell'acqua
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