La stazione di polizia di Lewisham Row era molto tranquilla alle cinque e mezza del mattino. L’unico rumore era il martellio lontano che proveniva dal corridoio delle celle. Lo spogliatoio femminile era deserto, Erika si tolse i vestiti sudici e raggiunse le docce comuni, aprendo l’acqua al massimo del calore che riusciva a sopportare. Si godette la sensazione rigenerante, quando il vapore cominciò a salire le docce piastrellate in stile vittoriano scomparvero, ed Erika con loro.
Alle sei, vestita con abiti puliti, era sola nella centrale operativa, con una tazza di caffè e della cioccolata presa al distributore. Andrea Douglas-Brown la fissava dalla parete, sempre sicura di sé.
Erika andò alla scrivania che le era stata assegnata, trovò la sua password e si collegò alla rete interna. Erano passati otto mesi dall’ultima volta che aveva controllato la sua email di lavoro. E non si trattava di una qualche forma di astinenza, no, semplicemente non aveva più l’accesso. Scorrendo le email vide messaggi dei suoi ex colleghi, newsletter, spam e la convocazione formale per un’udienza. Quest’ultima la fece ridere: le avevano notificato un’udienza disciplinare su un account email interno al quale le avevano revocato l’accesso.
Fece scorrere il mouse, selezionò tutti i vecchi messaggi e premette CANCELLA.
Adesso c’era solo una email del sergente Crane, mandata la sera precedente:
In allegato la cronologia completa 2007-2014 del profilo Facebook di Andrea DB. E i tabulati del telefono ritrovato sulla scena del crimine.
Crane
Erika aprì l’allegato e cliccò su STAMPA. Un attimo dopo la stampante accanto alla porta prese vita e cominciò a vomitare carta. Erika prese la pila di fogli e li portò giù alla mensa, sperando di trovarla aperta per bere un caffè decente. Ma era tutto buio. Prese una sedia in fondo alla sala, accese le luci e cominciò a sfogliare il profilo Facebook di Andrea Douglas-Brown.
Erano 217 pagine, quasi nove anni, che partivano da una giovane Andrea quattordicenne e arrivavano alla sensuale sirena ventitrenne. Nei suoi primi post sembrava una giovane ragazza piuttosto tradizionalista, ma non appena avevano cominciato a fare capolino i primi ragazzi aveva cominciato a vestirsi in maniera più provocante.
I sette anni di Facebook di Andrea erano un turbinio confuso di foto di feste e di selfie. C’erano centinaia di foto con uomini e donne di bell’aspetto, raramente si trattava delle stesse persone. A quanto pareva era stata una vera festaiola, una di quelle di lusso. Frequentava club in cui bisognava per forza prenotare per avere un tavolo. A giudicare dalle foto, non mancava mai qualche bottiglia di champagne.
Le interazioni con il fratello e la sorella su Facebook erano scarse, nel corso degli anni. Sua sorella maggiore, Linda, metteva un like occasionale a qualche post che riguardava la famiglia, e lo stesso faceva il fratello minore, David. Ma in genere si trattava solo di post sulle vacanze annuali che la famiglia Douglas-Brown trascorreva in Grecia, oppure, qualche anno più tardi, in una villa a Dubrovnik, in Croazia.
Le vacanze attirarono l’attenzione di Erika. Tre settimane ad agosto. Lo schema si ripeteva sempre identico. All’inizio Andrea postava delle foto allegre dei familiari, una foto di gruppo a cena in un bel ristorante, oppure la famiglia riunita intorno a un bungalow per un pranzo veloce in costume. In queste occasioni Andrea indossava sempre un bikini e si metteva in posa, con i capelli neri lasciati sciolti su una spalla, mentre infilzava teatralmente un boccone. Al contrario, Linda era sempre un po’ gobba, con il piatto pieno, e sembrava infastidita da quella distrazione che le impediva di concentrarsi sul cibo. La sua mole pareva aumentare di anno in anno, si copriva sempre con magliettone lunghe e leggings. David invece all’inizio era un tredicenne magrolino con gli occhiali, rannicchiato sotto il braccio esile di sua madre, ma pian piano si era trasformato in un bel giovanotto.
Andrea sembrava più legata a David, in molte foto lo attirava a sé per abbracciarlo, mentre lui assumeva un’espressione riluttante, con gli occhiali storti. C’erano pochissime foto di Linda e David insieme. Sir Simon e lady Diana erano molto abbottonati nelle fotografie: le stesse facce anno dopo anno, sorrisi ampi ma vuoti. Ecco qui lady Diana in costume da bagno e sarong. E sir Simon in calzoncini da barca, con la vita un po’ troppo alta a coprire il ventre peloso.
Vacanza dopo vacanza, Andrea era sempre meno interessata alla sua famiglia e cominciava a postare foto insieme a ragazzi del posto. All’inizio erano foto un po’ da stalker, scattate a gruppetti di ragazzi ignari di essere ripresi mentre se ne stavano in circolo a fumare oppure giocavano a calcio sulla spiaggia senza maglietta. Poi Andrea si concentrava su un ragazzo in particolare e passava l’ultima settimana di vacanze in preda a una sorta di ossessione, scattando un’infinità di foto. A quanto pareva le piacevano i cattivi ragazzi, più grandi di lei e con i capelli scuri, muscolosi, con tatuaggi e piercing. In una foto scattata nell’estate del 2009 Andrea era ritratta in posa sul sellino di un’enorme Harley Davidson, con un microscopico bikini. Fingeva di guidarla, mentre un tipo dai capelli scuri, presumibilmente il proprietario della moto, era relegato al ruolo di passeggero. Teneva una mano sulle mutande del suo bikini e tra le dita aveva una sigaretta che sfiorava la pelle abbronzata di Andrea. La ragazza fissava l’obiettivo con uno sguardo che diceva: “Sono io il capo”.
Erika annotò a margine: CHI HA SCATTATO QUESTA FOTO?
La mensa aprì i battenti e degli agenti assonnati cominciarono a mettersi in fila per la colazione. Erika se ne accorse a malapena. Continuò a leggere, affascinata dalla vita di Andrea.
Nel 2012 una nuova amica era comparsa sulla scena, una ragazza di nome Barbora Kardosova.
UN NOME SLOVACCO?, scrisse Erika a margine.
Barbora era bellissima come Andrea, e a quanto pareva le due erano diventate subito amiche intime. Aveva persino partecipato alle vacanze di famiglia nel 2012 e nel 2013. Sembrava proprio che Andrea avesse trovato in Barbora una complice nelle sue cacce agli uomini. Anche se ora li inseguivano in maniera più sofisticata: le foto le ritraevano insieme a gruppetti di bellocci dai capelli scuri in qualche club di lusso, o dentro qualche solarium egualmente costoso.
Andrea sembrava considerare Barbora una vera amica, postava foto in cui si rilassavano insieme. Era persino struccata, e meno ossessionata dall’obiettivo fotografico. Da un certo punto di vista Andrea era ancora più carina senza il suo armamentario e con quel sorriso sincero sul volto. In una foto le due ragazze erano in posa davanti a uno specchio, con indosso dei maglioni oversize lunghi fino alle ginocchia. Abiti da vecchie, decisamente. Su quello di Barbora erano ricamati dei gattini che inseguivano dei gomitoli di lana, mentre quello di Andrea aveva un enorme gatto rosso acciambellato nella sua cesta. Il flash della fotocamera si rifletteva nell’angolo in alto dello specchio. Sotto al post c’era un commento della sorella Linda: FUORI DA CAMERA MIA, STRONZETTA.
Andrea aveva messo like e risposto con un J.
Poi, alla fine del 2013, Barbora era sparita di colpo, senza spiegazioni. Aveva tolto l’amicizia ad Andrea. Erika scorse all’indietro le pagine per controllare di non essersi persa nulla. Da un momento all’altro Barbora non compariva più neanche in una singola foto. E non aveva più messo nemmeno un like. Circa sei mesi dopo, nel giugno del 2014, il profilo Facebook di Andrea era stato cancellato. Niente spiegazioni, nemmeno un messaggio agli amici per annunciare che intendeva abbandonare Facebook.
Erika spostò l’attenzione sui tabulati telefonici. Al confronto, erano vaghi e sporadici. Crane aveva contrassegnato i vari numeri. C’erano chiamate regolari al fidanzato di Andrea, Giles Osborne, un ristorante cinese del posto, di sabato; e per i sette sabati prima di Natale votazioni telefoniche per X-Factor. Il resto delle chiamate erano dirette ai familiari, al fioraio di Kensington gestito da sua madre, e alla segretaria di suo padre. Non risultavano telefonate la notte in cui era scomparsa, anche se il cellulare era stato trovato vicino al corpo sulla scena del delitto. I tabulati coprivano otto mesi, partivano soltanto da giugno 2014.
Una tazza cadde a terra e si ruppe in mille pezzi sul pavimento. Erika alzò lo sguardo e si rese conto che nel frattempo il sole si era alzato in cielo e la mensa si stava riempiendo. Controllò l’ora e vide che erano le nove meno dieci. Non voleva arrivare in ritardo alla riunione, perciò raccolse le sue scartoffie e se ne andò. Nel corridoio incontrò il sovrintendente Marsh.
«Ho letto i rapporti di ieri sera», disse inarcando appena un sopracciglio.
«Sissignore. Le spiegherò tutto. Ho una buona pista».
«Ovvero?»
«Glielo spiego alla riunione», disse mentre raggiungevano la centrale operativa. Quando entrarono Erika vide che tutti gli uomini della squadra erano presenti e già seduti alle rispettive scrivanie. Quando la videro calò il silenzio.
«Okay. Buongiorno a tutti. Per cominciare vi comunico che il sergente Crane è riuscito a tirare fuori tutta la cronologia del profilo Facebook di Andrea e i tabulati telefonici. Ha fatto un ottimo lavoro ed è stato veloce. Andrea è sempre stata molto attiva su Facebook, poi lo scorso giugno ha disattivato il profilo. E anche i tabulati telefonici arrivano solo fino a giugno 2014. Perché? Ha cambiato numero?»
«Lo scorso giugno ha conosciuto Giles Osborne», disse il detective Sparks.
«Sì. Ma perché nello stesso periodo ha cambiato numero e ha disattivato il profilo?»
«Forse voleva voltare pagina. Alcuni ragazzi si ingelosiscono per gli ex e i trascorsi delle loro fidanzate», disse Singh.
«È evidente che usasse Facebook per conoscere i ragazzi. Una volta fidanzata ufficialmente non ne aveva più bisogno», aggiunse Sparks.
«I registri delle sue chiamate però sono, be’, quasi troppo meccanici e abitudinari. Mi state dicendo che ha incontrato l’uomo dei suoi sogni e la sua vita improvvisamente le è parsa completa? Al punto da non aver bisogno di altre interazioni?»
«Non ho detto questo», disse Sparks.
«No, ma c’è qualcosa di strano. La notte in cui è sparita non risultano chiamate. Indaghiamo. Trovate il suo vecchio telefono e tirate fuori i tabulati. E controllate se per caso aveva un altro cellulare di cui non eravamo al corrente. E poi scoprite tutto quello che potete su una ragazza di nome Barbora Kardosova, si pronuncia “kardosh-ova”. È stata molto amica di Andrea tra il 2012 e il 2013, dopodiché è scomparsa. Hanno litigato? E dov’è lei adesso? È possibile parlarle? Controllate tutto. Trovatela. E anche tutti gli ex di Andrea. Non era a corto di ammiratori, vedete cosa riuscite a scoprire».
«Ma con discrezione», aggiunse Marsh, in fondo alla stanza.
Erika proseguì: «Ieri sera ho fatto un salto al Glue Pot. Una cameriera di nome Kristina ha confermato la presenza di Andrea lì la sera della scomparsa. Ha detto che era con una ragazza bionda, capelli corti, e poi con un uomo, capelli scuri».
«Ha intenzione di portarla qui per fare un photofit?», chiese Sparks.
«Quando gliel’ho prospettato si è spaventata».
«Okay. Il cognome?», chiese Sparks.
«Be’, non ho fatto in tempo ad arrivarci…».
Sparks fece un sorrisetto ironico e annuì.
Erika proseguì: «Ho parlato anche con un’altra donna, Ivy Norris…».
Sparks la interruppe: «Santo cielo. Non c’è da fidarsi di quello che dice Ivy Norris. Quella vecchia sgualdrina è una nota bugiarda e porta solo guai».
«Vero, ma ha avuto una reazione molto strana quando ho menzionato il Glue Pot. Era spaventata. Voglio tutto quello che riuscite a trovare su quel pub. Ritrovate la cameriera e parlate con il proprietario. Credo che ci sia un collegamento tra Andrea e quel posto e dobbiamo trovarlo prima che la pista si raffreddi».
«Detective Foster, possiamo parlare un momento?», disse Marsh.
«Sissignore… Moss e Peterson, vi voglio di nuovo con me oggi, andremo a ritirare i risultati dell’autopsia, e poi i Douglas-Brown devono fare l’identificazione ufficiale del corpo».
La centrale operativa si riempì di un chiacchiericcio frenetico. Erika seguì Marsh fino al suo ufficio. Chiuse la porta e si sedette di fronte a lui.
«I Douglas-Brown andranno a fare l’identificazione questa mattina».
«Sì, alle dieci e mezza».
«Rilascerò una dichiarazione ufficiale per quell’ora. Il nostro ufficio stampa, Colleen, è molto brava e ovviamente sottolineeremo con forza che si tratta dell’omicidio di una ragazza innocente. Però dobbiamo prepararci alla reazione della stampa. Proveranno a dare una lettura politica della vicenda», disse Marsh mestamente.
«Be’, in qualche modo devono pur vendere i giornali», disse Erika. Seguì un momento di pausa, Marsh prese a tamburellare le dita sulla scrivania.
«Ho bisogno di sapere che strada sta imboccando la tua indagine», disse infine.
«Sto cercando l’assassino, signore».
«Non essere insolente».
«Be’, c’era anche lei alla centrale operativa. Abbiamo una testimone, Kristina, che ha visto Andrea al Glue Pot la sera in cui è scomparsa. Dice che era con una ragazza bionda e con un tipo moro. Sto cercando anche loro».
«E dov’è adesso questa Kristina?»
«Be’, è scappata e non ho avuto modo di strapparle ulteriori informazioni».
«Sapeva che eri un agente di polizia?»
«Sì».
«Magari pensava che la cosa migliore per lei fosse dirti che aveva visto Andrea».
«Signore?»
«Senti, Erika. È più che plausibile che fosse un’immigrata clandestina terrorizzata all’idea di essere espulsa. Probabilmente era pronta a giurare di aver visto Elvis davanti al juke box pur di salvarsi il culo».
«Signore, non è così, credo di aver trovato una pista. E poi quell’altra donna, una del posto, Ivy Norris. La sua reazione al nome del Glue Pot è stata…».
«Ho letto il rapporto di ieri sera, Erika. Dice che hai picchiato il nipote di Ivy Norris e che lei ti ha minacciata con un coltello».
«Il ragazzino mi ha morsa e io ho reagito male. Niente di che. Signore, Ivy Norris conosce la zona e c’è qualcosa in quel pub che la spaventa».
«Sapevi che il mese scorso al Rambler’s Rest di Sydenham hanno decapitato quattro persone? Probabilmente non le va di farsi un goccio nemmeno in quel posto».
«Signore!».
Marsh proseguì: «Il commissario capo mi sta attaccato al culo e devo fare rapporto a quel cazzo di funzionario governativo sugli sviluppi dell’indagine. Vogliono essere sicuri che non vengano a galla eventuali dettagli sgradevoli o non confermati sulla famiglia Douglas-Brown. Non bisogna gettare nulla in pasto ai media».
«Non posso controllare i media. Né diffondo indiscrezioni sui dettagli di un’indagine. Lei questo lo sa».
«Sì, ma ho bisogno che…».
«Signore, io ho bisogno di fare il mio lavoro. Sia diretto. Mi sta dicendo che ci sono delle cose sulle quali non posso indagare?».
Marsh fece una smorfia. «No!».
«E allora cosa vuole dirmi?»
«Ti sto dicendo di attenerti ai fatti. È un bel po’ che sospettiamo che il Glue Pot sia coinvolto in un business di lavoro nero per immigrati illegali, ed è un punto di ritrovo regolare per le prostitute. Devi tirare fuori qualcosa di concreto prima di affermare che Andrea Douglas-Brown si trovasse lì la sera in cui è scomparsa».
«E se trovassi quella cameriera, registrassi una sua dichiarazione e le facessi fare un photofit?»
«Be’, buona fortuna. Immagino che sia già a bordo di qualche camion diretto a Calais!».
«Ma signore! Abbiamo le immagini di Andrea sulle telecamere di sicurezza. È salita sul treno per Forest Hill la sera in cui è scomparsa e il suo corpo è stato trovato vicino alla strada principale. Cazzo, potrei benissimo avere ragione. Mi sembra evidente».
Marsh sembrava esasperato. «Okay. Ma vacci piano e sii discreta. La stampa ci sta addosso».
«Lo farò, signore».
«E voglio essere sempre aggiornato. Su tutto, mi hai capito?»
«Sissignore».
Marsh le lanciò un’occhiata eloquente ed Erika uscì dall’ufficio.