Peterson era già in corridoio quando Erika uscì dalla sala interrogatori. Moss arrivò qualche momento dopo insieme a Laura, ammanettata e con uno sguardo tetro. L’agente aspettò che si fossero allontanate prima di parlare.
«Capo, Gerry O’Reilly è salito su un Eurostar che ha lasciato Londra poco prima di pranzo».
«Merda», gridò Erika, sbattendo la mano sul muro.
«E Oscar Browne è scomparso nel nulla. Avrebbe dovuto presentarsi in tribunale questo pomeriggio, ma non si è fatto vedere. La segretaria ha detto che non l’aveva mai fatto prima. Si stava occupando di un caso di frode di alto profilo. Lei non sa dov’è, e neanche la moglie…».
Erika controllò l’orologio. «Scopri se Gerry è sceso a Parigi o se ha continuato la corsa ed è finito Dio solo sa dove. Magari Disneyland, per quel che ne sappiamo. Contatta l’Interpol. Voglio un mandato d’arresto internazionale».
«Sì, capo».
«E metti in allerta gli aeroporti e le stazioni inglesi, nel caso Oscar Browne tentasse di lasciare il Paese».
«Credi che intenda farlo?»
«E chi lo sa. Ora come ora non sappiamo niente, ma ovviamente evita di dirlo in giro. Laura Collins è a conoscenza di qualcosa di grosso e non se ne andrà di qui finché non capirò cos’è. Anche a costo di inventarmi qualcosa per trattenerla più di quattro giorni. Per quanto mi riguarda, può marcire in quella maledetta cella».
«Solo un’altra cosa, capo… Il marito e i bambini sono appena arrivati. Chiedono di parlare con il responsabile delle indagini».
Erika e Peterson scesero di sotto alla svelta, raggiungendo la reception. Era tutto tranquillo. C’era un agente al bancone e la lunga fila di sedili in plastica era praticamente vuota, fatta eccezione per Todd, il marito di Laura, e i due bambini piccoli. Intorno a loro erano ammucchiate diverse buste di TK Maxx. I bambini erano in ginocchio per terra e giocavano con delle macchinine.
Todd si alzò non appena li vide arrivare.
«Che significa tutto questo?», disse con voce nasale. L’accento americano lasciava trasparire la sua indignazione. «Mi hanno chiamato i vicini di Avondale Road: c’è stato un inseguimento? E che c’entra Laura? Stavo facendo la spesa e ho provato a chiamarla. Mi ha risposto un vostro agente, che mi ha detto che avete arrestato mia moglie!».
«Esatto».
«E la telefonata che le spettava di diritto? Sarà meglio che non le rivolgiate più la parola finché non avremo trovato un avvocato…».
I bambini sollevarono lo sguardo.
«Hanno arrestato mamma?», chiese uno dei due. Todd lo ignorò.
«A Laura è stata offerta la possibilità di effettuare una chiamata e le abbiamo proposto di rivolgersi a un avvocato, ma ha rinunciato».
«Mi prendete in giro?», disse infilandosi le mani fra i capelli. «Perché l’avete arrestata?»
«Qualche ora fa siamo arrivati ad Avondale Road con l’intenzione di rivolgerle qualche domanda, ma lei è fuggita in auto a tutta velocità. Non ci ha lasciato altra scelta. Abbiamo dovuto arrestarla per resistenza a pubblico ufficiale», spiegò Erika.
«Perché volevate parlarle? Siete sicuri che l’avesse capito?»
«L’abbiamo seguita per diversi chilometri con le sirene e i lampeggianti accesi», disse Peterson.
Todd scuoteva la testa, era sbiancato di colpo. «Ma non ha nessun precedente. Neanche una multa per divieto di sosta».
«Papi, ho paura», disse uno dei bambini. Todd si abbassò e li prese entrambi in braccio, uno su un fianco e uno sull’altro. Erika e Peterson si trovarono di fronte a sei confusi occhi marroni.
«Todd. Cosa ti ha detto Laura di Jessica?», chiese Erika.
«Che sua sorella era scomparsa. Conosco tutta la storia, ne abbiamo parlato e riparlato…».
Erika e Peterson si scambiarono uno sguardo: Non lo sa.
«Devo chiederti di accomodarti e aspettare qui», gli disse Erika e lasciò la reception insieme a Peterson.
«Ehi! Non potete tenerla rinchiusa per questa stronzata! Dovete specificare un’accusa!», urlò Todd alle loro spalle, con i bimbi ancora in braccio.
«Che cosa facciamo ora?», chiese Peterson dopo aver passato il badge all’entrata di sicurezza da cui si accedeva al cuore della centrale.
«Voglio vedere se adesso vuole parlarci», rispose Erika.
Si diressero alle celle nei sotterranei e varcarono la spessa porta d’acciaio. Non appena si richiuse alle loro spalle, l’urlo dell’allarme interruppe la conversazione. Si guardarono e corsero all’istante verso le celle.
C’erano delle verdi porte metalliche chiuse, sudicie e rovinate, lungo tutto il corridoio illuminato al neon. L’ultima la trovarono aperta. Due agenti erano chini sul pavimento. Quando Erika e Peterson la raggiunsero, videro che Laura era stesa a terra mentre un poliziotto cercava disperatamente di sciogliere il sottile laccio delle scarpe che si era stretta al collo. Il filo portava alla fessura della porta, era stato annodato intorno alla maniglia di ferro.
Laura riprese fiato all’improvviso, il volto riacquistò colore mentre tossiva e farfugliava. Erika le corse accanto e le prese la mano.
«Ehi, va tutto bene, Laura. Te la caverai», le disse.
Laura deglutì, tossì e con voce roca sussurrò: «D’accordo, ve lo dico. Vi dirò tutto…».