Dopo l’incontro con la famiglia Collins, Erika e Peterson salirono nell’auto parcheggiata di fronte al numero 7 di Avondale Road.
«È stato… terribile», disse Peterson, strofinandosi gli occhi stanchi. «E inutile, credo».
«Sono tutti legati dallo stesso atroce dolore. Non sono neanche riuscita a dir loro quando potranno vedere i resti di Jessica. Questo caso è…». Si fermò in tempo, prima di dire irrisolvibile. «Dunque, Martin Collins andava a letto con Amanda Baker…».
«Il che aggiunge altre… complicazioni», concordò Peterson.
«Sarai proprio contento che ti abbia scelto per seguire questo caso», scherzò Erika con voce mesta.
«Mi sei mancata… Voglio dire, mi è mancato lavorare con te, ai casi, insieme a Moss, ovviamente», rispose Peterson affrettandosi a chiarire. Erika lo fissò per un istante e poi tornò a guardare fuori dal parabrezza.
«Jessica è scomparsa proprio qui». Indicò la strada costeggiata da una fila di querce enormi e spoglie, con i rami che si allungavano verso il cielo grigio. «È freddo, non ti pare?»
«Accendo il riscaldamento?», domandò Peterson.
«No, intendo il viale. La zona. Sembra fredda, ostile. Con tutte queste case eleganti e costose, lontane dalla strada, quasi invisibili».
Il gruppetto di fotografi stazionava ancora sul marciapiede di fronte al cortile. Avevano scattato qualche foto a Erika e Peterson mentre entravano e uscivano dall’abitazione. Un signore basso con i capelli grigi tentò di avvicinarsi alla casa, così Erika accese per qualche istante le sirene e il lampeggiante. L’uomo saltò per lo spavento, voltandosi e notandoli. Erika lasciò il lampeggiante acceso e chiamò la centrale affinché mandassero un poliziotto. Per un istante i fotografi puntarono gli obiettivi sulla macchina, tornando poi a tenere d’occhio la casa.
«Secondo te Martin Collins non ha avuto una reazione un po’ teatrale là dentro?», chiese Peterson.
«Che vuoi dire?», rispose Erika.
«C’era un non so che di forzato in tutta quella faccenda del vassoio rovesciato. Se avesse lanciato qualcosa o non so… se se la fosse presa con uno di noi, avrei capito».
«Credi che nasconda qualcosa?».
Peterson scosse la testa. «Hanno indagato a fondo su di lui? E che sappiamo sui suoi affari?»
«Ha guadagnato un mucchio di soldi con il boom immobiliare degli anni Ottanta. La famiglia Collins si è trasferita qui dall’Irlanda nel 1987, praticamente al verde, e già nel 1990 abitavano qui…».
«Pensi che qualcuno abbia rapito Jessica?»
«Non ne ho idea. Non si è mai parlato di un riscatto?»
«No. È scomparsa e basta, e tutto è esploso in seguito. La sua famiglia, le indagini della polizia…».
Lei sollevò lo sguardo verso la strada e si slacciò la cintura. «Facciamo una passeggiata».
Scesero entrambi dall’auto, catturando per un attimo l’attenzione dei giornalisti che tennero pronte le telecamere. Erika e Peterson cominciarono a camminare verso il civico 27. Le case alla loro sinistra si trovavano a un livello inferiore rispetto alla strada, i vialetti avevano tutti una leggera pendenza verso il basso. A destra, invece, gli edifici sorgevano su un’altura e dunque le stradine private erano in salita.
«Ecco, ci siamo. Ci vogliono due minuti», disse Peterson quando arrivarono di fronte al civico 27. Era un edificio di due piani color crema, con finte colonne sul davanti. Il vialetto era stato asfaltato da poco e la pioggia scivolava sulla superficie liscia come una cascata di gocce di mercurio.
«Dal 1990 la casa ha cambiato due volte proprietario», disse Erika. Rimasero lì di fronte per qualche istante, guardando da un lato e dall’altro. «Il centro di riabilitazione che ospitava Trevor Marksman è laggiù», aggiunse.
Continuarono a camminare per qualche altro minuto e raggiunsero un punto in cui la strada piegava bruscamente a sinistra. Di fronte, annidata nel centro della curva, sorgeva una villa di tre piani. Le mura erano giallo burro, mentre i telai delle finestre e le colonne erano bianche. Sul prato ben curato era affisso un cartello bianco su cui era scritto a caratteri dorati: SWANN RETIREMENT Village. I vetri delle finestre scintillavano e riflettevano il grigiore del cielo, come se fossero occhi spenti. Un grosso corvo nero atterrò sul cartello. Emise un verso sinistro, con le piume che brillavano come le lettere dipinte sul legno.
I due agenti si voltarono e poterono contemplare la via nella sua interezza. Scendeva fino alla loro macchina, parcheggiata sul marciapiede a poca distanza dalla zona in cui sciamavano i giornalisti. Su entrambi i lati, le siepi formavano un muro alto e lungo.
«Mi immagino Jessica qui, così vicina a casa, ma completamente sola. Avrà urlato? Qualcuno avrà sentito che la portavano via dietro queste siepi spesse?», disse Erika.
«E poi perché buttarla in una cava a pochi chilometri da casa sua? E se fosse stato qualcuno che abitava in questa strada? Queste case sono enormi. Avranno dei seminterrati».
«Ho letto nei rapporti che le case del circondario sono state perlustrate: quasi tutti i proprietari hanno concesso alla polizia la possibilità di dare un’occhiata».
«Quindi è svanita e basta», commentò Peterson. Il corvo gracchiò ancora, quasi concordasse con lui. «E adesso, capo?»
«Adesso credo che dovremmo andare a trovare Amanda Baker», rispose Erika.
Ripresero a camminare, tornando verso la macchina. Il poliziotto che l’ispettore aveva richiesto arrivò insieme a loro e parcheggiò di fianco al marciapiede. Abbassò il finestrino ed Erika e Peterson andarono a parlargli.
Nessuno se ne accorse ma, in mezzo al gruppo di giornalisti, con una fotocamera appesa al collo, c’era un uomo alto e scuro con addosso un giubbotto cerato. Al contrario degli altri, a lui non interessava cosa avveniva in casa Collins. Stava osservando attentamente Erika e Peterson, cercando di indovinare la loro prossima mossa.