La figura si era materializzata nel vicolo di fronte all’appartamento di Erika non appena era calato il buio, subito prima che la detective Moss uscisse dalla porta e se ne andasse a bordo della sua macchina.
Cosa ci faceva qui quella lesbica nana e cicciona? Dev’essere successo qualcosa.
Osservare i movimenti della detective Foster era una cosa che dava quasi dipendenza. Complice la pioggia torrenziale, era stato facile seguirla con il cappuccio tirato su, la testa china, e tre diversi giubbotti impermeabili nello zaino.
Il segreto per confondersi con la massa è non provarci nemmeno. Sono tutti così concentrati su se stessi.
Gli occhi della figura furono attirati in alto da Erika, che si era affacciata a fumare alla finestra.
A cosa sta pensando? Che ci è venuta a fare qui quell’altra poliziotta, Moss? La detective Foster dovrebbe aver lasciato il caso…
Erika si raddrizzò di scatto e chiuse le persiane. Qualche istante dopo uscì. Aveva con sé la borsa ed era diretta alla stazione. La figura si ritrasse e scattò in fondo al vicolo dove aveva la macchina. Quando sbucò sulla strada principale si sforzò di rallentare, di assumere un’aria normale, di confondersi con gli altri.
Erika stava imboccando Brockley Street quando la figura svoltò davanti alla stazione. Un’altra macchina stava uscendo e la figura sfruttò quell’opportunità per fermarsi e osservare Erika che attraversava il ponte pedonale per raggiungere la banchina dal lato opposto. L’automobilista di fronte finì la manovra e fece un cenno di ringraziamento con la mano. La figura sorrise e rispose al saluto, poi ritornò nella strada dell’appartamento di Erika, superò la sua abitazione e parcheggiò qualche via più in là.
Quando il motore si spense la figura si prese un momento per osservare il retro del palazzo della detective Foster. La proprietà era circondata da un alto muro che correva lungo un vialetto. Quando la vecchia villa era stata divisa in appartamenti, il retro era rimasto un guazzabuglio di finestre vecchie e nuove, tubi e grondaie.
La figura scese dalla macchina e prese uno zaino dal bagagliaio.
Non volevo farlo adesso, ma a quanto pare le cose stanno accelerando. Guardare dall’esterno non mi soddisfa più…
Mentre tornava verso l’appartamento della detective Foster incrociò un paio di pendolari immersi nella loro conversazione e ignari di tutto. Arrivato davanti alla casa, la figura si arrampicò sul muro di cinta, dopo aver pensato attentamente a come raggiungere l’ultimo piano.
Cammina fino al retro dell’appartamento, sali sul davanzale, poi tieniti alla grondaia, tira su una gamba fino al davanzale più in alto e vai su così, sempre aiutandoti con la grondaia.
I davanzali erano di pietra liscia e la figura, senza fiato per quello sforzo fisico, si fermò per un istante. Fin qui tutto bene…
Adesso usa il parafulmine e quel grosso tubo per fare leva, e poi ci sono altre tre finestre in fila. Un, due, tre…
Quando raggiunse il davanzale del bagno di Erika la figura era fradicia di sudore. La finestra era chiusa, ma se l’aspettava. Accanto però c’era una piccola ventola. Era un aggeggio da quattro soldi ed era stato installato alla bell’e meglio. Coprendo la griglia di plastica con la mano guantata, la figura afferrò il bordo e tirò. Si udì uno schiocco e il rivestimento venne via, esponendo un tubo di ventilazione argenteo. La figura ci infilò dentro un braccio e sentì le nocche coperte dal guanto di pelle toccare l’alloggiamento in plastica del ventilatore sulla parete interna. Un rapido pugno bastò a liberarsene. La ventola grattò rumorosamente contro la parete del bagno mentre dondolava appesa al suo cavo.
Da una tasca laterale dello zaino la figura tirò fuori un lungo filo – l’aveva ricavato da delle stampelle appendiabiti – e lo inserì nel tubo di ventilazione. Ci volle qualche tentativo, ma alla fine riuscì ad agganciare la maniglia della finestra e ad aprirla con un clic. La figura si mosse in fretta, infilando prima la testa e le mani e scivolando all’interno passando sopra al gabinetto.
Sono dentro.
Era eccitante, dopo tutto il tempo passato a osservare la detective Foster da lontano. Il bagno era piccolo e funzionale. Aprì l’armadietto e dentro vi trovò solo degli assorbenti, una pomata contro la candida e una confezione impolverata di strisce per la ceretta ormai scadute.
Che cosa commovente. Si porta dietro una vecchia scatola per la ceretta.
La figura raccolse il contenuto dell’armadietto e si spostò nella sobria camera da letto. Non aveva alcun odore. Il profumo delle donne a volte poteva essere intrigante ed esotico. Quello degli sconosciuti poteva invece essere repellente…
Sento solo odore di sigarette… e di cibo fritto. Forse un’ombra di un profumo da quattro soldi.
La figura sollevò le coperte del letto, depositò sul materasso il contenuto dell’armadietto del bagno e poi le ritirò su, prima di spostarsi in salotto. Era al buio, fatta eccezione per la luce arancione di un lampione. Sparse sul tavolinetto, in mezzo a tazze sporche e a un posacenere, c’erano delle copie di un fascicolo della polizia.
La figura ne prese uno con la mano guantata, sentendo montare la rabbia. C’erano delle foto di Mirka Bratova, sia da viva che da morta, in decomposizione nell’acqua.
La detective Foster sapeva. Ha messo insieme i pezzi del puzzle e quella piccola lesbica cicciona la stava aiutando!
Udì un rumore sul pianerottolo, le scale che scricchiolavano. Sgattaiolò fino alla porta d’ingresso e sbirciò dallo spioncino. Una signora anziana con i capelli bianchi era appena arrivata sul pianerottolo. Si avvicinò alla porta, con il viso ingrandito a dismisura dal vetro dello spioncino. Rimase in ascolto per un istante, poi si voltò e andò verso la porta di fronte.
La figura provò un improvviso bisogno di uscire di lì, di andarsene. Di escogitare un piano.
La detective Foster mi ha forzato la mano.
Credo che dovrò ucciderla.