Erika e Moss raggiunsero uno dei grossi veicoli di supporto della polizia, parcheggiati di fronte alla casa. Seduta a un tavolino di plastica di fronte a loro c’era Danuta McBride, la donna che aveva scoperto il cadavere di Jack Hart. Un poliziotto servì loro tre tazze di tè.
Deve avere poco più di quarant’anni, pensò Erika. Era pallida e visibilmente sotto shock. Aveva una frangetta morbida e i capelli scuri, lunghi e lisci. Indossava un abito a fiori stretto in vita da una larga cintura. Appeso al collo portava un cordoncino che reggeva un grosso cellulare e ai piedi un paio di Fivefingers fucsia.
«Come conosceva Jack?», le chiese Erika.
«Ehm, sono il produttore esecutivo del suo programma. E siamo soci della HartBride Media, la società che realizza lo show».
«Lo conosceva da tanto?»
«Sì, andavamo all’università insieme. Abbiamo studiato giornalismo». Danuta la guardava con un’espressione incredula. «Posso avere una sigaretta? Sono due ore che provo a chiederne una ai vostri colleghi». Indicò con un cenno i due giovani poliziotti di fronte alla porta.
«Certo. Gliene do una io», rispose Erika tirando fuori pacchetto e accendino.
«Mi dispiace, ma non si può fumare qui dentro. Motivi di sicurezza e di salute», disse un agente dai capelli scuri.
«Be’, allora va’ a respirare fuori, mentre noi qui dentro cerchiamo di non bruciare i mobili, ok?», rispose Erika, infilandosi una sigaretta in bocca e passando il pacchetto a Danuta. La donna ne tirò fuori una con riconoscenza. Mentre Erika le accendeva entrambe, il poliziotto aprì la bocca per dire qualcosa, ma alla fine lasciò stare.
«Ha idea di chi possa aver fatto una cosa simile a Jack?», domandò Erika, appoggiando il pacchetto sul tavolo.
«Chiunque, in pratica», rispose Danuta abbassando lo sguardo.
«Dovrebbe essere più precisa», commentò Moss.
«Era un po’ il cattivo di turno, come nei romanzi… Ha presente la crema spalmabile Marmite? Milioni di persone la detestano, milioni di persone la amano. Ha lavorato per diversi anni come giornalista d’inchiesta al “Sun”, poi ha collaborato con il “Mirror”, l’“Express” e il “News of the World”. Era proprio uno in gamba. Maledettamente bravo. Riusciva sempre a trovare una storia da raccontare, a qualsiasi costo. Si è separato dalla moglie qualche mese fa, dopo che l’ha beccato a letto con una nostra redattrice. Si è fatto un sacco di nemici per arrivare al successo, ma chi non ne ha? Però non mi viene in mente nessuno capace di spingersi fino a… questo…». Per un secondo gli occhi le si riempirono di lacrime, se li asciugò con il dorso della mano. «Da quando Megan Fairchild si è suicidata, ha cominciato a ricevere molte mail minacciose, anche se per la maggior parte erano solo dei troll».
«Come si sentiva Hart riguardo alla morte di Fairchild?»
«Secondo lei?», rispose stizzita Danuta. «Eravamo entrambi devastati. La cosa assurda è che è stata Megan a contattare noi. È venuta a Londra appositamente per i provini. Due volte. Spieghiamo a tutti come funziona lo show: li mettiamo in guardia, diciamo chiaramente che la loro vita finirà sotto i riflettori, parliamo delle attenzioni della stampa e delle potenziali incursioni nella sfera privata. Ma tutti vogliono i loro quindici minuti di celebrità. Anche se è già tanto se ne ottengono cinque. Jack diceva sempre che avrebbe voluto che Andy Warhol fosse ancora vivo, così avrebbe visto con i suoi occhi che razza di cose è disposta a fare la gente per comparire in TV».
«A che ora è arrivata a casa di Jack?»
«Non saprei, intorno alle undici. Non si è presentato a un incontro importante con la rete e i produttori. Dovevamo discutere di tutta questa faccenda di Megan».
«Credevo che il programma andasse in onda tutte le mattine alle nove. In diretta. Ma oggi è venerdì», commentò Erika.
«È in diretta solo dal lunedì al mercoledì. Le altre due puntate le registriamo dopo quella del mercoledì mattina, come se fossero in diretta. Così risparmiamo sullo studio».
«E qui nei dintorni non ha visto nessuno?»
«No, appena mi sono affacciata in camera ho dato di matto. Sono scesa di nuovo in giardino e ho chiamato la polizia».
«Conosce la moglie di Jack?»
«Sì. Claire. L’ha lasciato un paio di mesi fa e si è portata dietro i bambini».
«Quanti anni hanno i figli?»
«Nove e sette».
«Ho letto sui giornali che ha il cancro, è vero?», chiese Moss.
«Le è stato diagnosticato un mese dopo averlo lasciato. Jack le ha chiesto di tornare insieme, ha cercato di rimettere a posto le cose, ma lei si è rifiutata. La stampa questo non l’ha scritto, preferiscono dipingerlo come il mostro che ha tradito la moglie malata. Claire ora è da sua madre, a Whitstable, sul mare».
«Ha mai avuto una relazione con Jack?», chiese Erika.
«All’università siamo andati a letto insieme qualche volta. Ma poi mi sono sposata e lui è rimasto come un fratello per me». La sigaretta di Danuta era praticamente finita. Erika spostò un bicchiere di plastica al centro del tavolo perché ci potesse ciccare dentro.
«Come ha fatto a entrare in casa? Si è arrampicata, ha detto?», chiese Moss.
«Sì. Mi sono arrampicata alla finestra della camera, sul retro».
«Immagino che lei non abbia l’abitudine di fare cose simili».
«No. Be’, è già successo una volta, ma solo una. Stava facendo tardi a una puntata in diretta, e a dirla tutta era il giorno dopo la raccolta fondi Text Santa, che dura ventiquattro ore consecutive. Era praticamente morto… cioè, dormiva come un sasso. Mi sono arrampicata e ho bussato finché non si è svegliato».
«Oggi invece ha rotto la finestra».
«Sì».
«E perché? Sapeva già che era morto?»
«No… Sì… Voglio dire, non lo so. Aveva un sacchetto di plastica in testa. Ho pensato che forse avrei fatto in tempo a salvarlo. Sul tetto c’è un posacenere di pietra, Jack andava sempre fuori a fumare. Ho usato quello per rompere il vetro e, quando sono entrata, ho visto che non potevo fare niente…».
«Credeva che stesse cercando di suicidarsi?»
«No».
«E che ha pensato, allora?»
«Non lo so».
«Jack era eterosessuale?», chiese Moss.
«Certo che lo era, figuriamoci! Non che fosse omofobo. Con noi lavorano dei ragazzi omosessuali e lui ci va perfettamente d’accordo. Cioè, ci andava».
«E beveva molto? O abusava di droghe?».
Danuta distolse lo sguardo. Osservava la casa attraverso la piccola finestra del furgone, mentre gli agenti della scientifica entravano e uscivano dalla porta.
«Glielo chiediamo in via confidenziale. Sono informazioni utili alle indagini», la rassicurò Erika.
«Gli piaceva fumare…».
«Marijuana?».
Danuta annuì. «E una volta si è calato una pasticca di ecstasy, ma è successo anni fa mentre giravamo un documentario al Burning Man – e lo abbiamo fatto tutti. Gli piaceva uscire a bere, ma non direi che avesse un problema con l’alcol o con le droghe».
«Va bene».
«La casa è di sua proprietà?», chiese Moss.
«Sì».
«Bene. Le viene in mente altro da dirci?»
«Sì, siate gentili quando parlerete con sua moglie, ok? Ne ha passate davvero tante».
Erika annuì. Dal finestrino videro che il corpo veniva trasportato fuori dalla casa su una barella, all’interno di un sacco nero per cadaveri, e poi caricato sull’ambulanza. I flash delle macchine fotografiche si alzarono in cielo come tante piccole schegge luminose.
Qualcuno bussò allo sportello del furgone. Crane si affacciò dentro.
«Salve, capo. Una parola?»
«Grazie del suo aiuto, Danuta. La faremo accompagnare a casa», disse Erika. La signora annuì debolmente, mentre Erika e Moss si congedavano scendendo dal veicolo.
«Una delle vicine vuole parlarti. Sostiene che qualcuno ieri è entrato in casa sua e ha rubato un qualche vestitino da neonato», disse Crane.
«E come fa a esserne certa?»
«La figlioletta ce l’aveva addosso».