Erika, Moss e Peterson percorsero la breve distanza che divideva la centrale di polizia di Bromley da Hayes, con le nuove rivelazioni di quelle ore che risuonavano con forza nella testa.
Quando svoltarono l’angolo verso Avondale Road non trovarono auto o passanti. La strada era immersa nel silenzio totale, fatta eccezione per il brusio del vento che spingeva un mucchietto di foglie nella loro direzione. Erika aveva parlato con il marito di Laura: lui le aveva detto che la sera prima sua moglie aveva deciso di restare nella casa di Avondale Road, per sistemare alcune questioni per conto della madre.
Dal tono della voce si capiva che quella scelta gli era parsa strana, ma Erika aveva deciso di non pressarlo troppo. Mentre uscivano dalla centrale avevano scoperto anche che Gerry O’Reilly aveva affittato un appartamento di Morden nelle settimane passate, ma se n’era andato dicendo al padrone di casa che si trasferiva.
Erika rallentò e si fermò accanto al marciapiede, poco prima del civico 7. Moss era seduta accanto a lei, mentre Peterson era sul sedile posteriore.
«D’accordo, dobbiamo andarci piano con lei», disse voltandosi verso di loro. «Laura non è un sospettato, ma è assolutamente necessario parlarle. Non possiamo neanche escludere che Gerry O’Reilly sia con lei… Insomma, dobbiamo stare davvero attenti».
Proprio in quel momento un’enorme Range Rover nera con i vetri oscurati uscì dal vialetto del civico 7, svoltando a sinistra. Si allontanò sgommando, sparendo dopo pochi secondi oltre la cima della collina.
«Chi diavolo era quello?», chiese Erika.
«Non l’ho visto. I finestrini erano oscurati, ma ho preso il numero di targa», disse Moss appuntandolo sul suo taccuino.
Qualche istante dopo, una Range Rover color argento sbucò dallo stesso vialetto e girò a destra. Quando si avvicinò, gli agenti riconobbero il conducente: era Laura.
Erika le lampeggiò e aprì la portiera per scendere e fermarla. Laura rallentò per qualche secondo, ma poi tirò dritto sgommando fino alla fine della strada.
«Ma che diavolo…», esclamò Erika. Rimontò di corsa in macchina e accese il motore, e con una veloce inversione a U partì all’inseguimento.
La Range Rover era ancora ferma all’incrocio alla fine della via, ma non appena li vide arrivare accelerò mancando per un pelo un’auto che aveva la precedenza e che fu costretta a deviare bruscamente per evitare lo scontro.
«Ma che cavolo sta facendo?», chiese Moss. Lei e Peterson si tennero forte mentre Erika sfrecciava dietro alla Range Rover.
La strada era a due corsie, una per senso di marcia. Superarono varie case, un piccolo pub e un’edicola. La Range Rover stava ancora guadagnando velocità, correndo per la ripida salita che si dipanava per circa quattrocento metri. Erika schiacciò l’acceleratore, accorciando la distanza. L’altra corsia era piena di macchine che procedevano ad alta velocità nel senso opposto, così Erika accese sirene e lampeggiante. L’auto di fronte accostò immediatamente e l’ispettore riuscì a guadagnare spazio. Ma la Range Rover aveva raggiunto la cima della collina, e sparì velocemente dall’altra parte.
«Perché se la sta dando a gambe?», chiese Peterson incredulo.
Raggiunsero anche loro la cima della collina, a una velocità di centoventi chilometri orari. Le ruote persero aderenza con l’asfalto, la strada faceva un brusco salto, con alberi su entrambi i lati. Videro l’auto di Laura in lontananza. Via radio Erika comunicò alla centrale che erano all’inseguimento di una Range Rover argentata su West Common Road.
«Non rallenta», disse Moss.
Attraverso gli alberi l’ispettore capo intravedeva le distese del parco. «Dove porta questa strada?», chiese premendo a tavoletta sull’acceleratore.
Peterson, sul sedile posteriore, era già pronto con il cellulare in mano. «Attraversa il parco e porta direttamente alla stazione», rispose.
Davanti a loro la Range Rover rallentò, gli stop si accesero un paio di volte. Poi mise la freccia.
«Sta girando a sinistra», disse Erika.
«È l’incrocio con Croydon Road», rispose Peterson.
L’auto svoltò a sinistra e scomparve dalla visuale.
Erika attraversò l’incrocio con le sirene ancora accese, rallentando un pochettino. Moss e Peterson si tennero forte, mentre sgommavano bruscamente a sinistra.
«La vedo, è laggiù», disse Erika. E accelerò di nuovo.
«Se la perdiamo…», disse Moss.
«Non la perderemo», rispose subito Erika a denti stretti. Più in là, la Range Rover rallentò, mise la freccia e scomparve dietro una fila di alberi.
«E ora che fa?»
«Sta entrando nel parcheggio del parco», rispose Moss.
Arrivarono sul piazzale di ghiaia e rallentarono. Non c’erano auto a parte la Range Rover argentata di Laura. Si era fermata, e la donna stava scendendo.
Erika accelerò di colpo, le ruote sgommarono.
«Sta scappando», disse Peterson, guardando incredulo Laura che correva tra l’erba e l’erica in direzione della cava. Aveva un pesante cappotto nero, dei leggings e degli stivali alti fino al ginocchio.
Frenarono di botto, schizzando ghiaia dappertutto.
Erika saltò fuori dall’auto.
«Laura! Fermati!», urlò, ma il vento forte rapiva la sua voce.
«Dove scapperà?», chiese Moss, scendendo dall’auto con Peterson al seguito.
Iniziarono a correrle dietro. Peterson era il più veloce, con falcate lunghe e salti decisi superò l’erica alta, i rami e le pietre. Erika lo tallonava.
«Cristo Santo!», urlò Moss, senza fiato, con una mano sul petto. «Mi sarei dovuta mettere il reggiseno sportivo!».
«Laura!», urlava Peterson. «Laura, fermati! Che diavolo stai facendo?».
Laura si voltò per un secondo, i capelli lunghi e scuri le coprirono il volto spinti dal vento. Se li spostò indietro e continuò a correre su per la collina. Peterson ed Erika erano solo a un paio di metri da lei ormai. Arrivarono in cima e sotto di loro comparve la vasta distesa della cava. L’acqua era leggermente increspata dal vento.
«Laura! Fermati!», urlò Peterson allungando una mano e afferrandole il braccio.
La donna girò su se stessa e perse l’equilibrio, finendo sulla ghiaia.
Anche Peterson cadde con un tonfo e per poco la stessa sorte non toccò pure a Erika. Ma si fermò in tempo, con i polmoni in fiamme per l’aria gelida inspirata troppo velocemente.
Laura si dimenava e scalciava, i leggings si erano strappati sopra a un ginocchio, perdeva sangue.
«Laura! Laura!», urlava Erika mentre cercava di immobilizzarla e metterle le mani dietro la schiena. «Cristo santo, Laura, ma perché fai così… Non mi lasci altra scelta: sei in arresto per resistenza a pubblico ufficiale».
«Tre pubblici ufficiali», disse Moss, fermandosi senza fiato accanto a loro. Tirò fuori un paio di manette e Peterson le prese mettendole ai polsi di Laura.
«Sei in arresto per sospetto favoreggiamento», disse con il fiatone. «Hai il diritto di rimanere in silenzio, ma potrebbe nuocere alla tua difesa non menzionare informazioni di cui intendi avvalerti successivamente in tribunale. Qualsiasi cosa dirai potrà essere usato…».
Laura si fermò di colpo. Fissò la ghiaia e cominciò a piangere.