106
Johnson ci fece salire sul pick-up e riattraversammo il paese, tornando fin quasi al ponte che collega l’isola con la terraferma.
Lasciò la strada principale e parcheggiò alla Dauphin Island Marina. Meno della metà dei posti barca erano occupati e sia l’ufficio che lo snack bar sul lungomare erano chiusi.
Lo seguimmo fino in cima a uno dei tre lunghi pontili, dove era ormeggiata una barca da pesca che si chiamava May. Una donna robusta, che immaginai fosse la moglie di Johnson, ci aspettava sul ponte guardandoci con aria molto più scettica del marito.
«Sono loro?» gli chiese.
«Sì, lo sai, May. Andiamo.»
La signora Johnson non si mosse. «La ragazza è reduce da un’esperienza terribile. Trattatela bene, mi raccomando.»
Non avevo nulla da ridire. Anzi, apprezzai. Promettemmo alla signora che avremmo trattato bene la ragazza, quindi la seguimmo sottocoperta, nella piccola cabina.
«Annie» era seduta nell’angolo della zona pranzo con aria tesa e spaventata, ma si vedeva ugualmente che era bellissima. Aveva i tratti da bambola di porcellana che Tony Nicholson sembrava prediligere per il suo club. Indossava un paio di pantaloni da aviatore e una felpa rosa sformata, che forse si era fatta prestare o aveva comprato di seconda mano. Aveva il braccio destro al collo, sorretto da una fascia di tela grigia. Era rannicchiata sulla panca, ma quando si mosse mi accorsi che la schiena, dove le avevano sparato, le faceva ancora male.
Mahoney si presentò e spiegò chi ero io, quindi le chiese se era disposta a dirci il suo vero nome.
«Mi chiamo Hannah» rispose con voce incerta. «Hannah Willis. Potete aiutarmi a cambiare nome? Riuscite a mettermi in un programma di protezione testimoni, o qualcosa di simile?»
Ned le spiegò che spettava alla Procura decidere se convocarla e concederle o meno protezione. Noi potevamo solo assicurarle che non avremmo registrato le sue dichiarazioni.
«Cominciamo da quello che è successo la sera che il signor Johnson l’ha raccolta sul suo pick-up» proposi.
La ragazza annuì lentamente, raccogliendo i ricordi o forse il coraggio per riferirli. May Johnson, che le si era seduta accanto, la prese per mano.
«Ci avevano chiamato per una festa privata al Blacksmith Farms» cominciò Hannah. «Non sapevamo niente, a parte che il cliente si faceva chiamare Zeus. Abbiamo pensato che doveva avere un ego sconfinato, per scegliersi un nome così...»
«Era nella suite sopra la rimessa?» domandai.
«Esatto.» Parve sorpresa che lo sapessi già. «Io non c’ero mai stata. Sapevamo però che chi lavorava nella dépendance veniva pagato di più.»
«Quando parla al plurale, è perché eravate più di una? Quante?» chiese Ned.
«Eravamo in due, io e un’altra, una certa Nicole» rispose. «Dubito che sia il suo vero nome, però.»
Non era la prima volta che sentivo nominare una Nicole. Con il cuore che mi batteva forte, tirai fuori dalla tasca la foto di Caroline che portavo sempre con me.
«È lei?» chiesi.
Hannah annuì e cominciò a piangere.
«Sì, è lei. Nicole è morta.»