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Finito di lavorare, comprai qualcosa in un take-away thailandese di Seventh Street e lo portai a Bree all’ospedale. Si sarebbe meritata una cena più succulenta, ma era comunque meglio degli hamburger e dei budini industriali che vendevano allo spaccio.
Bree aveva allestito una sorta di ufficio distaccato in ospedale. Aveva il portatile, una piccola stampante e vari fogli sparsi sul bancone in fondo alla stanza. Sullo schermo del computer era visualizzata una pagina di un sito di medicina. Bree era intenta a prendere appunti.
«Chi ha ordinato il panang curry e il pad thai?» dissi affacciandomi sulla porta.
«Io» rispose Bree.
Mi venne incontro e mi diede un bacio.
«Come sta la fanciulla?» le domandai.
«Non si arrende. Ha una tempra veramente straordinaria.»
Nana era un po’ più tranquilla, forse, ma a parte quello mi sembrò sempre uguale. La dottoressa Englefield ci aveva raccomandato di non preoccuparci per ogni minimo cambiamento: si rischiava di impazzire, stando a osservare ogni battito di ciglia. L’importante era continuare ad assisterla e non perdere le speranze.
Mentre aprivo le vaschette del take-away, Bree mi aggiornò. Per il momento la dottoressa voleva continuare la terapia con i betabloccanti. Il cuore di Nana era debole, ma la frequenza era regolare, e questo era un buon segno. E le sedute di dialisi sarebbero state ridotte a tre al giorno.
«C’è un nuovo medico, la dottoressa Abingdon. Dovresti parlare con lei» mi disse Bree. «Ho qui il suo numero.»
In cambio del foglietto con il numero di telefono, le porsi un piatto e una bottiglietta di acqua. «Stai facendo fin troppo» le dissi.
«Nana e i tuoi figli per me rappresentano quanto di più simile a una famiglia io abbia mai avuto» replicò. «Te ne rendi conto, vero?»
Lo sapevo benissimo. La madre di Bree era morta quando lei aveva solo cinque anni e suo padre, rimasto vedovo, si era sempre disinteressato dei figli. Bree era stata cresciuta da una serie di cugine e a diciassette anni se n’era andata di casa senza rimpianti.
«In ogni caso» le dissi, «non puoi stare assente dal lavoro a tempo indeterminato.»
«Amore mio, fidati di me. Mi dispiace che Nana stia male, ma visto che le cose stanno così, preferisco essere qui che altrove. Fine della discussione, okay? Mi va bene così.»
Arrotolò una forchettata di spaghettini di riso e se li mise in bocca con un sorriso che non le vedevo da un pezzo.
«E, comunque, che cosa vuoi che mi facciano? Che mi sostituiscano?»
Su questo non potevo ribattere.
Sinceramente, non credo che sarei stato in grado di fare quello che stava facendo Bree. Forse non sono abbastanza generoso. So però che dovevo considerarmi fortunato e le ero infinitamente grato. Non sarei mai riuscito a sdebitarmi con lei. Eppure, Bree non chiedeva nulla in cambio.
Passammo il resto della serata con Nana a leggerle ad alta voce Un altro mondo di James Baldwin, uno dei suoi romanzi preferiti. Poi, verso le dieci, le demmo il bacio della buonanotte e, per la prima volta da quando si era sentita male, tornai a casa a dormire nel mio letto. Accanto a Bree, com’era giusto che fosse.