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Per capire a che grado di follia e/o paranoia ero arrivato, basti dire che avevo smesso di usare il mio telefono e usavo soltanto cellulari con SIM card anonima che cambiavo ogni quarantott’ore.

Dopo il colloquio con Cormorant, cambiai telefonino e chiamai Sam Pinkerton al Washington Post.

Sam e io ci eravamo conosciuti in palestra. Lui fa soprattutto karate shotokan, mentre io faccio pugilato tradizionale, ma combattevamo lo stesso insieme per allenarci e ogni tanto, dopo la palestra, andavamo a berci un bicchiere. Quindi non era del tutto inverosimile che io gli proponessi di andare a prendere l’aperitivo allo Union Pub quella sera.

Passai il resto del pomeriggio a inseguire l’ombra di Tony Nicholson senza scoprire nulla che non sapessi già.

Poi, poco dopo le cinque, mi incamminai in Louisiana Avenue verso Columbus Circle per andare all’appuntamento con Sam.

Davanti a una birra, facemmo quattro chiacchiere sui rispettivi figli, sul problema dei tagli all’istruzione pubblica e parlammo persino del tempo che faceva. Era un vero piacere starsene lì seduti a chiacchierare in maniera quasi normale. In quel periodo non avevo avuto un attimo da dedicare alle piccole cose della vita quotidiana.

Alla seconda birra, passammo ad argomenti più sostanziosi.

«Allora, come va il lavoro di questi tempi?»

Sam si appoggiò allo schienale e inclinò la testa da una parte. «Siamo venuti al dunque?»

«Sì. Sto indagando su un caso delicato e vorrei capire com’è la situazione da queste parti.»

«Intendi da quelle parti?» replicò, indicando la direzione in cui si trovava la Casa Bianca, che era suo territorio e distava pochi isolati dal pub. «Stiamo parlando di attività legislativa o di altro? Anche se credo di sapere già la risposta.»

«La seconda che hai detto» risposi.

«Immagino tu non ti riferisca al party per i sessant’anni della signora Vance...»

«Sam!»

«Perché se vuoi posso procurarti l’invito. Di sicuro si mangerà bene. Ti piace Norah Jones? Canteranno sia lei che Mary J. Blige.»

Sapevo che mi avrebbe fatto il favore che gli chiedevo, ma me lo avrebbe fatto sudare un po’.

«Okay, senti» disse finalmente. «Hai presente il blog Jenna Knows? Ieri mi chiama Jenna in persona. Le fonti sono quelle che sono, quindi, ma aveva notizie piuttosto incredibili. Non posso entrare nei particolari adesso, ma se mi vuoi offrire un altro aperitivo fra due o tre giorni...» Finì il bicchiere. «A meno che tu non voglia raccontarmi su cosa stai indagando.»

«No comment, per il momento» replicai. E intanto pensai: Missione compiuta. Comunque andasse a finire, se non altro si era mosso qualcosa, con o senza di me.

«C’è ancora una cosa, però» aggiunsi. «Un po’ inconsueta.»

«Sono quelle che preferisco» disse, alzando la mano per far segno alla cameriera di portargli un’altra birra.

«Resti tra noi. Se dovesse succedermi qualcosa nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, voglio che indaghi.»

Sam, stupefatto, mi guardò con gli occhi sgranati. «Santo cielo, Alex.»

«So che è un discorso un po’ strano. Più di un po’, forse.»

«Non hai tutto il dipartimento di polizia a tenerti d’occhio?»

«Dipende da cosa intendi per ’tenere d’occhio’» replicai mentre ci servivano da bere. «Diciamo che vorrei avere dei rinforzi.»

Il segno del male
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