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Sembrava fin troppo facile, ma questo non voleva dire che Constantine Bowie non fosse davvero colpevole. Nei giorni successivi restò soltanto da sistemare la parte burocratica, che non è poco. Quasi nessuno si rende conto di quanto inchiostro ci vuole per chiudere un’indagine per omicidio, soprattutto se di questa portata.
Anche quando sia l’FBI che il Secret Service sostengono che giustizia è stata fatta.
Ci furono infinite riunioni, seguite da numerose udienze pubbliche. Fra illazioni di ogni genere, sui media e in Campidoglio, si parlò anche di aprire un’inchiesta parlamentare. Tutto il Paese discuteva dell’elenco clienti di Tony Nicholson, del ruolo avuto dal Secret Service e anche di eventuali altre vittime del famigerato assassino.
Quando ebbi finito di compilare scartoffie, chiesi qualche giorno di permesso e, il mercoledì sera, uscito dall’ufficio, andai all’ospedale a trovare Nana. In quegli ultimi giorni era più tranquilla e dormiva come un angioletto, che da una parte era un bene e dall’altra mi preoccupava moltissimo. La vegliai per quasi tutta la notte.
Il giovedì mattina molto presto zia Tia venne a darmi il cambio. Tornai a casa e mi infilai nel letto proprio quando Bree si stava svegliando. La abbracciai da dietro e lei mormorò: «Fai di me quello che vuoi, purché mi lasci dormire ancora un po’».
Poi però rise e si voltò per darmi un bacio, con i piedi e le gambe intrecciati ai miei sotto le coperte.
«Okay, fai di me quello che vuoi» ripeté.
«Che bello. Te lo ricordi ancora?»
Annuì, con la fronte appoggiata alla mia, e io pensai che l’unico posto al mondo dove volevo essere era quello.
Ma naturalmente dopo un attimo la porta della camera si aprì. «Papà, sei tornato?» Era Ali, che fece capolino e poi saltò sul letto senza lasciarci il tempo di rispondere che no, non ero ancora tornato.
«Ragazzino, quante volte ti ho detto che devi bussare prima di entrare?» gli chiesi.
«Circa un milione» rispose ridendo e infilandosi comunque in mezzo a noi.
Per non rimanere indietro, poco dopo arrivò anche Jannie. Tutti e due cominciarono a raccontarci le ultime novità, incuranti del fatto che fossero le sei e mezzo del mattino. Ma fu comunque bellissimo ritrovarsi tutti insieme.
Alle sette ero di nuovo in piedi a friggere uova e pancetta e pomodori, mentre Bree preparava il caffè e riempiva i bicchieri di succo d’arancia. Jannie e Ali cercavano il mio nome sul giornale e in sottofondo si sentiva il CD di Gershwin che avevo infilato nel lettore in salotto. Non ero a letto con Bree, ma ero contento lo stesso.
Stavo per servire le mie prelibatezze quando al piano di sopra squillò un telefono, abbastanza forte da farsi sentire nonostante la musica.
Tutti si fermarono di scatto e mi guardarono, in piedi davanti ai fornelli con una spatola unta in mano.
«Cosa c’è?» esclamai con l’aria più innocente del mondo. «Io non sento niente.»
Fui ricompensato con un bell’applauso e persino con una pacca sul sedere da parte di Bree.
Chiunque fosse stato a chiamare, ebbe il buon gusto di non insistere.