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Il portone di noce, dall’aria costosissima, venne abbattuto e noi entrammo. Gli uomini delle Squadre Speciali corsero dentro la villa senza difficoltà. Io impugnavo la mia Glock, sperando di non doverla usare. Nell’ultima operazione che avevo fatto con Ned ci eravamo fatti sparare addosso tutti e due.
Speravo che le cose andassero meglio, quella sera. In fondo avevamo a che fare con colletti bianchi, no? Non appena le Squadre Speciali ci diedero il via libera, Ned fece entrare tutti noi, lasciando soltanto due uomini sulla porta.
La prima impressione fu: gran lusso.
L’atrio era altissimo, con pavimento in marmo a scacchiera, enorme lampadario di cristallo, mobili antichi e lucidissimi. La luce aveva qualcosa di strano: sembrava dorata.
La seconda impressione fu: belle donne. Ce n’erano tantissime, alcune in abito da sera, altre più o meno svestite. Tre erano completamente nude, e non sembravano vergognarsene per nulla. Tenevano le mani sui fianchi, come se ci fossimo appena introdotti in casa loro.
Erano escort. Squillo di alto bordo. Di tutte le razze: dalle americane DOC alle più esotiche orientali.
Attraversai l’atrio e andai a destra, superando un agente che spingeva verso il portone due uomini dalla pelle scura, che parlavano arabo, e una ragazza nera molto alta. Erano nudi tutti e tre e insultavano gli agenti come se fossero loro sottoposti.
Passai davanti a diverse stanze vuote e quindi entrai in un fumoir sul retro della casa. Vi aleggiava odore di fumo e di sesso, ma dentro non c’era nessuno.
Mi voltai e sentii delle urla. Provenivano dall’ingresso. Qualcuno stava protestando vivamente, a voce molto alta.
«Toglietemi le mani di dosso! Non mi toccare, stronzo!» Un uomo biondo, con l’accento inglese, stava cercando di scendere dalla scala principale con due agenti dell’FBI che tentavano di fermarlo.
«Questa perquisizione è illegale!» protestava l’inglese, con notevole faccia tosta. Alla fine gli agenti furono costretti ad atterrarlo e a legargli i polsi.
Salii la scala a due gradini per volta per raggiungere Mahoney, che stava cercando di farlo parlare: «È lei il responsabile? Il signor Nicholson, dico bene?»
«Toglietevi dai piedi! Ho già chiamato il mio avvocato. Questa è violazione di proprietà privata!» Era molto alto e sembrava dotato di notevole autocontrollo. «State infrangendo la legge. Vi ripeto che questa è proprietà privata. Voglio rimettermi in piedi! È scandaloso. Questa è una festa privata in una casa privata.»
«Tenetelo isolato dagli altri» ordinò Mahoney agli agenti. «Non voglio che parli con nessuno.»
Selezionammo due stanze del pianterreno in cui interrogare i presenti e cominciammo a dividere il personale dai clienti, prendendo le loro generalità.
«Sì, mi chiamo Nicholson. Non vi dimenticherete il mio nome: ve l’assicuro!» sentii urlare. «Nicholson, esatto. Come l’attore.»