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Quella notte dormii ben poco e, a parte i momenti in cui dovevo uscire dalla stanza perché le infermiere venivano a controllare come stava, parlai con Nana tutto il tempo. All’inizio di argomenti soft, tipo quanto le volevamo bene, quanto facevamo il tifo per lei, cosa succedeva nella stanza.
Dopo un po’, tuttavia, mi resi conto che Nana aveva sempre voluto sapere la verità, qualsiasi essa fosse, e così cominciai a raccontarle quello che mi era successo durante la giornata. Le parlai come avevo sempre fatto, senza pensare che un giorno quelle nostre conversazioni avrebbero avuto fine.
«Oggi ho dovuto ammazzare uno» le dissi.
Mi sembrava che su una notizia così ci dovesse essere molto da dire, invece, una volta che ebbi sputato il rospo, rimasi in silenzio. Forse perché normalmente a quel punto sarebbe intervenuta lei.
E in effetti in un certo senso intervenne anche quella notte, con un ricordo di una conversazione simile che avevamo fatto molto tempo prima.
Aveva famiglia, Alex?
Era la prima cosa che mi aveva domandato. All’epoca avevo ventotto anni. Si trattava di una rapina a mano armata in un piccolo supermercato del Southeast. Non ero nemmeno in servizio: stavo tornando a casa, quando era successo. Il rapinatore si chiamava – non me lo dimenticherò mai – Eddie Clemmons. Era la prima volta in assoluto che mi trovavo coinvolto in uno scontro a fuoco e la prima volta che sparavo per difendermi.
Sì, avevo detto a Nana, aveva una moglie, anche se erano separati. E due figli.
Ricordo che ero in piedi nell’ingresso in Fifth Street, con la giacca ancora addosso. Nana aveva in mano la cesta del bucato e avevamo finito per parlare della sparatoria seduti in fondo alle scale, piegando biancheria pulita. E, dopo un po’, avevo capito che prima o poi mi sarei abituato all’idea di aver ucciso un uomo.
Passerà, mi aveva detto Nana. Non sarai più lo stesso, ma passerà. Lavori in polizia.
Naturalmente aveva ragione. E forse era per questo che avevo tanto bisogno di sentirmi dare le medesime rassicurazioni anche quella notte. Stranamente, volevo sentirmi ripetere da lei che tutto si sarebbe aggiustato.
Le presi la mano, gliela baciai e me la premetti sulla guancia: era l’unico modo per comunicare con lei, credo.
«Andrà tutto bene, Nana» dissi.
Ma non ero sicuro che fosse la verità, o che lei riuscisse a sentire quella mia bugia.