3

Non c’era nessuno più scemo di lui. Era un uomo morto. Johnny Tucci lo sapeva, ma si buttò lo stesso giù per la scarpata lungo la strada.

Forse dalla polizia sarebbe anche riuscito a scappare, ma dalla Famiglia no. In prigione, sicuramente no. Se perdi un «pacco» di quel genere, diventi un «pacco» pure tu.

Da sopra qualcuno gridava, poi Johnny vide il fascio di luce delle torce che lo cercavano e si buttò a terra, nascondendosi fra i cespugli. Tremava come una foglia, aveva il cuore che batteva all’impazzata e il fiato corto per le troppe sigarette. Dovette fare uno sforzo sovrumano per stare fermo e zitto.

Merda, merda, merda! Sono morto!

«Vedi niente? Dov’è il bastardo? Dove si nasconde quel pazzo?»

«Non vedo niente. Ma lo prenderemo. Dev’essere qui nei pressi: non può essere andato lontano.»

Gli agenti si divisero per andare a cercarlo. Procedevano metodici, calmi, efficienti.

Il respiro gli era tornato normale, ma il tremito era sempre più forte. E non solo per via dei poliziotti. Doveva decidere come muoversi. Tutto considerato, aveva due opzioni: una prevedeva l’utilizzo della .38 che aveva nella fondina alla caviglia, l’altra il «pacco» e il suo legittimo proprietario. Ma alla fine, in un modo o nell’altro sarebbe morto comunque.

Nel gelo della notte, l’importante sembrava solo questo.

Si spostò lentissimamente per impugnare la .38. Con la mano che gli tremava, si infilò la canna in bocca. Sentì i denti battere contro il metallo, e un sapore amaro. Si vergognava delle lacrime che gli scendevano sul volto, ma non riusciva a fermarle. E comunque era l’unico a sapere che stava piangendo.

Doveva davvero finire così? In mezzo a un bosco, piangendo come un moccioso? Che vita di merda!

Gli sembrava di sentirli, i ragazzi. Non voglio fare la fine di Johnny. Johnny Tic. Gli avrebbero scritto quel nome lì sulla lapide, per fargli dispetto, quei figli di buona donna.

Il suo cervello gli diceva di premere il grilletto, ma il dito non si voleva muovere. Riprovò, con tutte e due le mani. Niente da fare. Non era buono manco a suicidarsi.

Alla fine si tolse la pistola dalla bocca, sempre continuando a piangere. Sapere che avrebbe vissuto un altro giorno non lo consolava affatto. Rimase sdraiato per terra, commiserando la propria malasorte, finché i poliziotti non arrivarono al rigagnolo in fondo alla scarpata.

A quel punto si arrampicò su più veloce che poté, attraversò la strada e si infilò nel bosco dall’altra parte, chiedendosi come avrebbe fatto a sparire dalla faccia della terra. Sapeva che era tutto inutile.

Aveva guardato. Aveva visto cosa conteneva «il pacco».

Il segno del male
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