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Un’auto blu guidata da un militare arrivò dove mi trovavo nel giro di pochi minuti. L’autista mi seguì fino a un parcheggio nelle vicinanze, aspettò che avessi lasciato la macchina, mi fece salire e mi portò alla Casa Bianca.

Entrammo dal Northwest Appointment Gate, su Pennsylvania Avenue. Dovetti mostrare i documenti due volte, prima alla sentinella al cancello e poi alla guardia armata all’ingresso della West Wing. Da lì un agente del Secret Service mi scortò direttamente all’entrata più vicina al Rose Garden.

Ero stato alla Casa Bianca varie volte, quanto bastava per capire che quello era un percorso riservato che portava direttamente all’ufficio del capo di Gabinetto.

Chiaramente non volevano dare pubblicità alla mia visita: per questo venivo scortato.

Gabriel Reese aveva fama di essere un uomo di potere molto addentro alla politica. Era amico di lunga data del presidente Vance e non pochi analisti lo consideravano il vicepresidente de facto dell’amministrazione in carica. Questo significava che ero stato convocato per iniziativa di Reese, o forse addirittura del presidente. Nessuna di queste due possibilità mi allettava in maniera particolare.

L’agente del Secret Service mi affidò alle cure di una donna che, dalla voce, doveva essere la stessa che mi aveva telefonato. Questa mi offrì un caffè, che rifiutai, e poi mi accompagnò nell’ufficio di Reese.

«Ispettore Cross, grazie di essere venuto.» Reese mi strinse la mano da dietro la scrivania e mi fece cenno di accomodarmi in una poltrona dallo schienale alto. «Condoglianze per sua nipote. Che tragedia. Dev’essere stato uno shock terribile. Non oso immaginare...»

«Sì, purtroppo. Grazie» replicai. «Devo dirle, però, che mi turba un po’ che lei sia al corrente di così tanti aspetti di questa vicenda.»

Reese fece una faccia sorpresa. «Sarebbe ancora più strano se io non ne sapessi nulla. Il Secret Service ha il preciso dovere di raccogliere informazioni riguardanti la Casa Bianca.»

Cercai di non lasciar trapelare il mio stupore. Che cosa c’entrava la Casa Bianca con le mie indagini? Che cosa stava succedendo?

«Perché non mi ha ricevuto direttamente il Secret Service, allora?» ribattei.

«Una cosa alla volta» mi disse. Bene, pensai: i miei nervi non sarebbero in grado di reggere a nulla di più.

Non posso dire che Reese fosse aggressivo: era soltanto molto sicuro di sé. Visto di persona, sembrava più giovane. Aveva un look preppy, camicia con i bottoncini sulle punte del colletto e cravatta classica. A vederlo non si sarebbe detto che la politica degli Stati Uniti in tutto il mondo recava la sua impronta.

«Per il momento vorrei sentire da lei come procedono le indagini» continuò. «Mi aggiorni. Mi dica che cosa pensa e che cosa avete scoperto finora.»

Quel colloquio stava diventando sempre più surreale.

«Va tutto a gonfie vele, grazie.»

«Veramente intendevo...»

«Credo di sapere che cosa intendeva. Con tutto il rispetto, però, signor Reese, io non sono tenuto a rispondere alla Casa Bianca.» Non ancora, perlomeno, aggiunsi dentro di me.

«Capisco. Ha ragione, certo. Assolutamente ragione. Mi scusi. Non volevo interferire.»

Avevo reagito in maniera un po’ esagerata, ma nemmeno Reese scherzava. Decisi di continuare l’offensiva.

«Ha mai sentito parlare di un certo Zeus in relazione a questa vicenda?» domandai.

Reese rifletté per un secondo. «Non mi pare. E credo che ricorderei un nome così.»

Ero sicuro che mentisse e, ripensando alle considerazioni di Lauren Inslee a proposito dei suoi clienti, mi chiesi perché mai uno come Reese avrebbe dovuto rispondere a una mia domanda se non con una menzogna.

Il telefono sulla scrivania squillò. Reese rispose subito, rimase ad ascoltare guardandomi fisso, poi riattaccò e si alzò in piedi. «Vuole scusarmi un minuto? Mi dispiace. So che è molto occupato.»

Appena uscì dalla stanza, un agente del Secret Service si piazzò sulla porta, dandomi le spalle. Non potei fare a meno di chiedermi che cosa sarebbe successo se avessi provato ad andarmene, ma rimasi dov’ero a cercare di capire che cosa stava succedendo. Perché il capo di Gabinetto della Casa Bianca si interessava alle mie indagini? Cosa c’era sotto?

Poco dopo udii delle voci nel corridoio, un mormorio basso che, da dove ero seduto, non riuscii a decifrare.

L’agente sulla soglia fu sostituito da un collega che entrò nell’ufficio e si guardò intorno come se io non ci fossi, o facessi parte del mobilio.

Poi si fece da parte per lasciar entrare il presidente.

«Alex Cross. Ho sentito parlare molto di lei. E solo in bene» disse la prima donna mai eletta presidente degli Stati Uniti, facendomi un sorriso.

Il segno del male
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