52
«Corri!»
Fu l’unico consiglio che Tony Nicholson diede alla moglie, dopo averle mollato il braccio per precipitarsi verso la porta di servizio. Le priorità erano improvvisamente cambiate. Era una questione di sopravvivenza, ormai. E, si sa, è il più forte che sopravvive.
Arrivò in cucina, dove si trovò di fronte un uomo tarchiato, sudamericano, evidentemente entrato da dietro. Chi cazzo sei tu?
Nella confusione che seguì, sentì un dolore lancinante al ginocchio e notò di sfuggita la chiave inglese nella mano dell’uomo. Cadde a terra e non si rialzò più.
All’inizio provò soltanto dolore: un dolore incandescente, enorme, che gli esplodeva lungo la gamba.
Poi vide le manette, che gli immobilizzarono i polsi.
Manette?
A quel punto il sudamericano lo trascinò nel salotto tirandolo per il colletto e lo mollò sul tappeto.
Charlotte era seduta in una delle poltrone con una striscia di nastro adesivo metallizzato sulla bocca.
Un altro uomo – ma erano soltanto due? – le stava accanto e guardava Nicholson con scarso interesse. Sembrava quasi annoiato, come se facesse quelle cose tutti i giorni.
Non erano agenti dell’FBI o della polizia, questo era chiaro. E non erano nemmeno come quei due scriteriati della settimana prima. Erano vestiti di scuro, avevano un passamontagna sulla testa, tirato su a lasciare il volto scoperto, e guanti di lattice.
Non proprio sbirri, ma qualcosa del genere. Squadre Speciali? Ex poliziotti?
Quello che lo aveva ferito aveva il naso schiacciato e gli occhi scuri, che lo scrutavano come se fosse un insetto.
«Il disco.» Non disse altro.
«Che disco?» mormorò Nicholson a denti stretti. «Chi siete voi due?»
«Due. Bel numero.» Guardò l’ora. «Ti do due minuti.»
«Altrimenti?» chiese Nicholson. Ma gli lesse negli occhi la risposta.
Il più alto tirò fuori un sacco di plastica trasparente e lo infilò in testa a Charlotte, che si dibatté ma non abbastanza da impedire all’uomo di legarglielo intorno al collo con il nastro metallizzato. Nicholson vide sua moglie cambiare faccia: evidentemente aveva capito cosa stava per succedere. Provò anche un briciolo di pietà, un pizzico di amore perduto. Qualcosa di umano, che sembrava un’emozione: per la prima volta da molti anni a quella parte, si sentì legato a lei.
«Sei matto! Non puoi fare questo!» gridò a quello che gli stava ammazzando la moglie.
«Sei tu a farlo, Nicholson. Sei tu che hai il controllo della situazione, non noi. Dipende tutto da te. Facci smettere, forza.»
«Non ho capito cos’è che volete! Ditemelo!»
Provò a lanciarsi verso Charlotte, ma non ci riuscì per via del ginocchio e cadde fra il divano e il tavolino basso.
«Per piacere, ditemi cosa volete. Non capisco!» implorò Nicholson, cercando di essere il più convincente possibile. Era l’esibizione più importante della sua vita e doveva riuscirgli bene.
Quando finalmente raggiunse il divano, Charlotte era immobile.
I suoi occhi azzurri erano fuori delle orbite, la testa piegata su una spalla, come una marionetta. Aveva ancora il sacco intorno alla testa. Era grottesco.
«Bastardi! Siete due bastardi di merda! Me l’avete ammazzata! Mi credete adesso? Vi basta?»
I due uomini rimasero glaciali. Si scambiarono un’occhiata. Poi fecero spallucce.
«Andiamo» disse il bianco. L’altro annuì e per un istante Nicholson pensò di essersela cavata così. Ma quando aveva detto «andiamo», il bianco non si riferiva solo a lui e al compare. Uno dei due prese Charlotte, l’altro trascinò via Nicholson.
Lo costrinsero a saltellare su un solo piede fino alla porta. Dio solo sapeva dove l’avrebbero portato. Mentre lo trascinavano fuori, Nicholson ebbe uno strano pensiero: si dispiacque di non essere stato più carino con Charlotte.