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Ned Mahoney non sarebbe mai riuscito a farsi autorizzare una trasferta per andare a parlare con questo Johnson. Anche se si fosse trattato di un’indagine di sua competenza – e non lo era – il Bureau cerca di risparmiare i soldi dei contribuenti imponendo agli agenti di ricorrere alle sedi locali quando è necessario condurre un interrogatorio in uno Stato diverso dal proprio. Ned aveva già avuto degli scambi via e-mail con l’ufficio di Mobile, in Alabama, ma alla fine decidemmo di recarci sul posto a nostre spese.
Arrivammo all’aeroporto di Mobile nella tarda mattinata del giorno seguente e prendemmo un’auto a noleggio.
Aubrey Johnson abitava a Dauphin Island, a circa un’ora di macchina in direzione sud. Il paese era piccolo e sonnacchioso, perlomeno in quella stagione, e non fu difficile trovare il negozio in Cadillac Avenue. Si chiamava Big Daddy’s Fishing Tackle.
«Per questo siamo venuti fin qui? Per vedere un negozio di attrezzature da pesca?» dissi.
«Per quanto ti possa sembrare strano, sì. La nostra strada finisce qui. È qui che sveleremo il complotto, vedrai.»
«Speriamo.»
Johnson era un uomo alto e cordiale, tra i cinquanta e i sessanta, e ci accolse come se fossimo due vecchi amici. Poi chiuse la porta a doppia mandata.
Con Ned aveva già parlato a lungo per telefono, ma siccome c’ero anch’io raccontò tutta la storia dal principio. Disse che circa un mese prima, mentre viaggiava a tarda notte sul suo pick-up sulla Route 33 in Virginia, gli si era parata davanti una ragazza bellissima in déshabillé.
«Confesso che lì per lì ho pensato che fosse la mia serata fortunata» disse. «Ma poi ho visto in che stato era. Se il colpo che le avevano sparato alla schiena fosse stato di calibro appena più grosso, sarebbe morta di sicuro.»
Pur essendo ferita, la ragazza aveva insistito per farsi portare almeno oltre il confine statale e così Johnson l’aveva accompagnata in un pronto soccorso nei pressi di Winston-Salem.
«Annie però non si è voluta fermare, per paura che arrivasse la polizia. Diceva che, se non l’avessi portata via io in macchina, se ne sarebbe andata a piedi» continuò. «Così l’ho accontentata. Probabilmente non avrei dovuto, ma quel che è fatto è fatto. Mia moglie e io ce la siamo presa in casa e l’abbiamo curata.»
«Ha detto che si chiama Annie?» intervenni.
«Poi ve lo spiego» rispose Johnson.
«Perché la ragazza si è decisa a parlare solo adesso?» domandai. Sapevo che i primi contatti tra Johnson e Mahoney risalivano a poco prima che i giornali cominciassero a occuparsi di Constantine Bowie e di Zeus.
«È un po’ complicato» disse. «Non ci ha ancora raccontato tutto. Non sappiamo neppure come si chiami veramente. La chiamiamo Annie per semplicità. Quando ho provato a tastare un po’ il terreno, senza sbottonarmi, nessuno mi ha preso sul serio. Solo l’agente Mahoney mi ha richiamato, dopo che avevo contattato la sede FBI di Mobile.»
«Dove si trova adesso questa Annie?» chiese Ned.
«Non lontano da qui.» Johnson prese un mazzo di chiavi dal bancone. «Vi ci faccio parlare, ma vi avverto: avete presente quel tizio, Zeus? Be’, secondo lei avete preso l’uomo sbagliato. Lei non è Annie e lui non è Zeus.»