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Il silenzio era quasi assoluto quando ci fermammo davanti a una fila di palazzine in mattoni con il tetto piatto in Winfield Lane, nella zona nordoccidentale della capitale. Nei campi da tennis di Georgetown, dall’altra parte della strada, c’erano solo due giocatori e la terra era ancora bagnata. Se Nana fosse stata a casa, pensai, a quell’ora si sarebbe alzata e si sarebbe preparata per andare in chiesa.
Avevamo piazzato quattro agenti delle Squadre Speciali dietro la casa di Bowie, posizionato alcune auto del dipartimento ai due estremi dell’isolato e previsto una serie di autoambulanze nei pressi. Svoltammo sulla strada di Bowie a una certa distanza dal suo portone, davanti al quale si stava fermando un furgone bianco.
Al via di Ridge, un gruppo di cinque uomini in tenuta da combattimento scese dal furgone e si avvicinò in fila indiana alla palazzina di Bowie. Senza fare il minimo rumore, forzarono la porta ed entrarono.
A quel punto dovemmo aspettare una decina di minuti che avessero finito di perlustrare e mettere in sicurezza la casa, vano per vano. Ridge, a testa bassa e con una mano sull’auricolare, veniva aggiornato costantemente dal comandante della squadra dentro la casa. Sollevò un dito per comunicarci che i colleghi erano saliti al primo piano, e poi due quando giunsero al secondo.
Quindi drizzò la schiena di scatto. Dalla casa si erano alzate delle urla.
«Lo hanno preso!» disse Ridge. Poi, però, aggiunse: «Un momento...»
Ci fu un rapido scambio, con Ridge che parlava velocemente. «Sì? Vi sento. Non abbandonate la postazione.» Dopo un po’ disse: «Okay, aspettate un attimo» e si voltò per informare noi altri. «Abbiamo una situazione di stallo, Bowie è armato e non si arrende. Si rifiuta di parlare con il Secret Service.»
Mi offrii senza stare a pensarci su. «Gli parlo io» dissi.
Ridge sollevò un dito e disse al microfono nascosto nel polso: «Peter, ti mando un telefono da campo...»
«No» dissi. «Gli parlo faccia a faccia. Ci sono cinque agenti armati nella casa. Siamo qui con un obiettivo ben preciso, Ridge.»
Ci fu un altro lungo scambio tra Ridge e Constantine Bowie, con gli uomini delle Squadre Speciali che facevano da portavoce, e finalmente fu raggiunto un accordo. Bowie accettò di lasciarci perquisire il resto della casa per accertarci che non ci fosse nessun altro e quindi di parlare con me. Qualcuno mi porse un giubbotto antiproiettile e Ridge mi diede istruzioni.
«Mi raccomando, che ci sia sempre almeno un agente delle Squadre Speciali tra voi. Se riesce a convincerlo ad arrendersi, bene, altrimenti torni indietro. Non si dilunghi.» Controllò di nuovo l’ora. «Quindici minuti. Non uno di più. Altrimenti la vengo a prendere io.»