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Quella sera portai in camera di Nana un po’ di musica: un CD intitolato Best of U Street, con brani di musicisti famosi ai tempi in cui Nana, insieme con mio nonno e con i loro amici, andava nei locali ad ascoltare Basie, Sarah Vaughan, Lena Horne e Sir Duke in persona, il grande Ellington.
Lo misi nel portatile di Bree, con il volume molto basso.
Quelle dei cantanti jazz non erano le uniche voci familiari nella camera. Avevo portato a trovare la nonna anche Jannie e Ali. Era la prima sera che le infermiere davano ad Ali il permesso di entrare nella stanza. Seduto in silenzio accanto al letto di Nana, con aria educata e rispettosa, Ali si comportò proprio da bravo bambino.
«A che cosa serve questo, papà?» mi chiese con la voce infantile di quando era intimidito o poco sicuro di sé.
«È l’elettrocardiografo, la macchina che tiene sotto controllo il cuore di Nana. Vedi quelle linee? Rappresentano il suo battito cardiaco, che in questo momento, come vedi, è regolare.»
«E quel tubicino lì?»
«Serve per nutrirla, dal momento che è in coma e non può mangiare da sola.»
Tutto a un tratto Ali disse: «Vorrei tanto che tornasse presto a casa. È la cosa che desidero di più. Prego per lei tutto il giorno».
«Diglielo, Ali. La tua nonna è qui. Se hai qualcosa da dirle, diglielo.»
«Mi sente?»
«Credo di sì. Secondo me sì, ti sente.» Gli presi la mano e gliela feci posare su quella di Nana, appoggiando poi la mia sulla sua. «Su, coraggio.»
«Ciao, Nana!» disse forte, come se la nonna fosse dura d’orecchi. Feci fatica a non scoppiare a ridere.
«Non urlare, tesoro» gli disse Bree. «Ma fai bene a metterci un po’ di entusiasmo. Scommetto che Nana ha sentito.»