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Il viaggio di ritorno da Richmond fu come un incubo interminabile. Quando finalmente io e Bree arrivammo a Washington, trovammo la casa immersa in un silenzio profondo. Presi in considerazione di svegliare Nana, ma il fatto che non scendesse dal letto di sua spontanea volontà mi convinse che era molto stanca e aveva bisogno di riposare. Le brutte notizie potevano aspettare fino al mattino.

La mia torta di compleanno era intonsa nel frigo e la busta dell’American Airlines era posata sul bancone della cucina. La guardai giusto il tempo di capire che erano due biglietti per Saint John, un’isola nei Caraibi che avevo sempre desiderato visitare. Non aveva importanza, comunque, perché a quel punto non potevamo certo partire. Sembrava si fosse fermato tutto e mi pareva di muovermi al rallentatore.

«Devi andare a letto» mi disse Bree, prendendomi per mano e conducendomi fuori della cucina. «Anche solo per poter pensare più lucidamente domani.»

«Oggi, vorrai dire.»

«No, domani. Quando ti sarai riposato.»

Notai che non aveva usato il verbo «dormire». Ci trascinammo di sopra, ci spogliammo e crollammo sul letto. Bree mi prese per mano.

Un’oretta dopo, ero ancora lì che fissavo il soffitto continuando a chiedermi: Perché?

Perché era successa quella tragedia? Perché proprio a Caroline?

Perché era stata triturata? Perché «resti», anziché un cadavere?

Essendo un investigatore, avrei dovuto pensare alle prove materiali e a ciò che queste indicavano, ma non mi sentivo affatto un investigatore, lì a letto nel buio. Mi sentivo uno zio, un fratello.

Per certi versi, non era la prima volta che perdevo Caroline. Dopo la morte di Blake, sua madre non aveva più voluto avere nulla a che fare con noi. Si era trasferita senza dirci niente, aveva cambiato numero di telefono e aveva rispedito indietro tutti i regali che le mandavamo. In un primo tempo ci era sembrato tristissimo, ma da allora avevo imparato che la capacità dell’uomo di farsi del male è praticamente infinita.

Verso le quattro e mezzo, posai i piedi per terra e mi misi a sedere sul letto. Non c’era verso, non potevo dormire.

Bree mi chiese: «Dove vai? È ancora buio».

«Non lo so, Bree» le risposi. «Magari vado in ufficio e cerco di fare qualcosa. Tu continua pure a dormire.»

«Non stavo dormendo» ribatté lei. Si tirò su a sedere e mi abbracciò. «Non sei solo, Alex. Quello che succede a te succede anche a me.»

Abbassai il capo e rimasi ad ascoltare la sua voce, così calma e consolante. Non ero solo: Bree sarebbe rimasta al mio fianco. Era così da quando stavamo assieme, ed era una bella cosa.

«Intendo fare tutto ciò che è necessario per aiutare te e la tua famiglia a superare questo momento difficile» dichiarò. «Domani, io e te cominceremo a indagare per cercare di capire chi è stato a fare questa cosa tanto tremenda. Mi senti?»

Per la prima volta da quando avevo parlato con Davies al telefono, mi sentii scaldare il cuore. No, non era felicità, e nemmeno sollievo. Era gratitudine. Qualcosa di cui rallegrarsi. Avevo vissuto la maggior parte della mia vita senza Bree, ma ora mi chiedevo come avessi fatto.

«Come ho fatto a trovarti?» le domandai. «Ad avere una simile fortuna?»

«Non è fortuna» rispose lei, abbracciandomi ancora più stretto. «È amore, Alex.»

Il segno del male
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