59

La serata alla residenza ufficiale del vicepresidente degli Stati Uniti era relativamente informale: una cena a base di zuppa di granchi del Maryland per un gruppo di funzionari di medio livello e relative famiglie. Gli uomini avevano la giacca ma non la cravatta e quando, poco prima di mangiare, il vicepresidente rimase in maniche di camicia tutti seguirono il suo esempio.

Solo l’agente Cormorant non si tolse il blazer, che nascondeva una SIG Sauer calibro 357 nella fondina sotto il braccio destro. Sebbene fosse un evento decisamente a basso rischio, Cormorant era un professionista e non abbassava mai la guardia. Meno che mai in quel periodo.

Il Secret Service garantiva la sicurezza del grande edificio in stile vittoriano fin dal 1972. I Rockefeller non vi si erano mai trasferiti, ma prima del vicepresidente Tillman e famiglia vi avevano vissuto i Mondale, i Bush, i Quayle, i Gore e i Cheney. Ogni angolo della villa era sorvegliato. Cormorant conosceva quel palazzo meglio del proprio bilocale in M Street.

Quando ebbe bisogno di scambiare due parole con il vicepresidente in privato, perciò, gli venne spontaneo entrare nella biblioteca passando dal salottino sul retro, in modo da evitare di farsi vedere dagli ospiti.

Tillman si versò un whisky on the rocks e aspettò vicino al caminetto che Cormorant chiudesse a chiave tutte e due le porte.

«Cosa c’è di così urgente, Dan?» chiese.

«Ti avverto: sto per dirti una cosa che non ti piacerà» disse Cormorant.

Tillman bevve un sorso. «Questa sì che è una novità. Il fatto che tu mi avverta, intendo.»

Erano amici, per quanto possibile nella loro posizione. In futuro sarebbero andati a pescare e in vacanza insieme, ma per il momento i loro rapporti erano squisitamente professionali.

«Penso che sia giunto il momento che informi il presidente della questione Zeus e, in particolare, del fatto che potrebbe esserci un assassino alla Casa Bianca.»

L’espressione di Tillman si indurì immediatamente. Posò il bicchiere. «Il presidente ha già tutte le informazioni del caso. Ho provveduto io stesso a dargliele. Purtroppo abbiamo bisogno di fatti, di un nome.» Tillman era già stato aggiornato sul raid dell’FBI in Virginia, ma non sugli ultimi sviluppi. Cormorant lo ragguagliò rapidamente, dicendogli anche che nel club erano state trovate delle telecamere.

«Nessuno ne ha ancora parlato in maniera specifica, ma se saltano fuori delle registrazioni video, lo pseudonimo Zeus non servirà più.»

«Quando è successo?» chiese Tillman, visibilmente scosso.

«Oggi. Oggi pomeriggio.»

«E tu come fai a saperlo già?»

Cormorant continuò a guardare in faccia il vicepresidente e mantenne un silenzio che sperò venisse considerato sufficientemente rispettoso.

«Come non detto» borbottò Tillman. «Continua, per favore. Scusa l’interruzione.»

«L’unico che potrebbe fare qualcosa è il ministro. Se riuscissimo a sospendere le indagini con un pretesto ragionevole, o anche solo a rallentarle...»

Tillman parve innervosirsi. Ma con lui era sempre difficile capire cosa pensava.

«Un momento: vorresti che il presidente facesse pressioni sul ministro della Giustizia? Ti rendi conto di che cosa mi stai chiedendo? Potrebbe esserci di mezzo un membro del Gabinetto.»

«Non te lo chiedo per sfizio. Si tratta, come sempre, di proteggere il presidente Vance e la sua amministrazione.»

Da oltre la porta che dava sul corridoio giunse uno scoppio di risa. Cormorant non batté ciglio, ma abbassò il tono di voce.

«Non ti sto proponendo di insabbiare uno scandalo. Ho soltanto bisogno di un po’ di spazio di manovra per cercare di capire chi è questo Zeus. Se riusciamo a identificarlo noi per primi, sarà più facile per la Casa Bianca controllare i danni quando la notizia diverrà di pubblico dominio. E prima o poi succederà; in un modo o nell’altro prima o poi verrà fuori.»

«Che cosa dice Reese?» domandò Tillman. «Gli hai parlato? Sa delle telecamere?»

«Ho aggiornato il capo di Gabinetto oggi pomeriggio, ma non abbiamo parlato del presidente. Volevo prima valutare con te se dirglielo o no.»

«Non seminare zizzania tra me e Reese, Dan. Né tra me e il presidente Vance. La mia fedeltà nei suoi confronti è assoluta.»

«Non intendevo...»

«Senti, fa’ così.» Tillman aveva l’abitudine di passare dalla fase interlocutoria alle decisioni in maniera repentina. «Parlane con Gabe e digli cosa pensi. Se poi lui vorrà parlarmene, torneremo sull’argomento. Altrimenti, questa conversazione fra me e te non è mai avvenuta.»

Il vicepresidente era già sulla soglia della biblioteca, pronto ad andarsene. Cormorant alzò la voce, per la prima volta. «Walter!»

Era una di quelle mancanze di rispetto che possono rovinare una carriera dall’oggi al domani. «Scoprirò chi è. Dammi il tempo e troverò Zeus.»

Tillman si fermò, senza voltarsi indietro. Ripeté: «Parlane con Gabe». Poi uscì dalla biblioteca e Cormorant non poté fare altro che seguirlo.

La conversazione era finita. Nella sala da pranzo, la zuppa di granchi era quasi fredda.

Il segno del male
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