16
Quando la mamma di Caroline scese dalla Chevy Suburban nera nel parcheggio del Rock Creek Cemetery, erano più di vent’anni che non la vedevo. Avevamo parlato per telefono del funerale, ma adesso che eravamo lì non sapevo che cosa aspettarmi, o cosa dirle.
Aprii la portiera. «Ciao, Michelle.»
Mi parve uguale a come me la ricordavo, ancora molto graziosa, con gli stessi capelli lunghi e ribelli, ora striati di grigio. Li aveva raccolti in una treccia.
Solo lo sguardo era cambiato: era sempre stato vivace, mentre adesso era stanco e vacuo. Aveva gli occhi gonfi e rossi per il pianto.
«Mi ero dimenticata quanto gli assomigli» disse.
Intendeva Blake, mio fratello. Eravamo abbastanza simili, perlomeno di faccia. Anche Blake era sepolto in quel cimitero.
Mi prese sottobraccio e ci incamminammo verso la chiesa di St. Paul, seguiti dal resto della famiglia.
«Volevo dirti che seguirò personalmente le indagini, Michelle» le dissi. «Se hai bisogno di qualcosa...»
«Grazie, ma no, Alex.»
Lo disse con semplicità, come un dato di fatto. Quando parlò di nuovo, lo fece con voce tremante: «Darò l’estremo saluto alla mia bambina...» Si fermò e prese fiato. «E poi tornerò a casa, a Providence. Per ora non credo che riuscirò a fare niente di più.»
«Non voglio che tu stia sola in un momento così. Perché non ti fermi un po’ da noi? A Nana e a me farebbe molto piacere. So che è passato tanto tempo da...»
«Da quando hai voltato le spalle a tuo fratello?»
Dunque era questo. Finalmente avevo la possibilità di rimediare a un equivoco durato vent’anni.
Verso la fine, Blake era diventato irriconoscibile. Ogni volta che avevo tentato di convincerlo a disintossicarsi, mi aveva tagliato fuori dalla sua vita. Evidentemente, però, a Michelle aveva dato una versione diversa. All’epoca, faceva uso di eroina anche lei. Anche quando era incinta di Caroline.
«Per la verità, è successo il contrario» le dissi, con la massima delicatezza.
Michelle alzò la voce. «Non posso tornare in quella casa, Alex! Non posso! Non me lo chiedere, per favore.»
«Sì che puoi, Michelle.»
Ci voltammo, tutti e due insieme. Era stata Nana a parlare. Bree, Jannie e Ali erano lì con lei, come fossero le sue guardie del corpo.
Nana si avvicinò e abbracciò Michelle.
«Ci siamo persi di vista tanto tempo fa e, se per Caroline ormai non c’è più niente da fare, con te è diverso. Fai ancora parte della nostra famiglia. Sarai per sempre una di noi.»
Fece un passo indietro e posò una mano sulla spalla di Jannie. «Janelle, Ali: questa è vostra zia Michelle.»
«Condoglianze» disse Jannie.
Nana riprese a parlare: «Qualsiasi cosa sia successa in passato o succeda domani, adesso non ci dobbiamo pensare». Lo disse con grande commozione e nelle sue parole sentii l’eco dell’educazione battista che aveva ricevuto nel Sud. «Siamo qui per ricordare Caroline con tutto l’affetto di cui sono capaci i nostri cuori. Quando le avremo detto addio, ci preoccuperemo del futuro.»
Michelle sembrava combattuta. Ci guardò, senza dire una parola.
«Andiamo» disse Nana. Si batté il petto. «Signore, tutto questo dolore mi fa male al cuore. Michelle, mi daresti il braccio, per favore?»
Sapevo che Nana provava un immenso dolore: Caroline era sua pronipote e, anche se non l’aveva quasi mai vista, averla perduta per sempre la faceva soffrire enormemente. Però adesso aveva un’altra persona di cui occuparsi. Forse ho preso da lei, mi dissi. A volte l’unico modo che abbiamo per sentirci vicini ai morti è prenderci cura dei vivi.