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Nana era stesa su un fianco, in pantofole, e indossava la sua vestaglia preferita. Intorno a lei c’erano i cocci di una ciotola di vetro. Aveva il viso contratto in una smorfia, come se fosse caduta per un dolore atroce e improvviso.
«Nana? Mi senti?» le chiesi, correndo da lei.
Mi chinai per sentirle il polso.
Era debolissimo, ma c’era. Il mio, invece, era a mille.
Ti prego, no! Non adesso! Non così!
«Alex!» Bree entrò di corsa, con il telefono in mano.
«Pronto intervento, mi dica.»
«Mia nonna è appena caduta per terra. È priva di sensi.» Le guardai il volto, le braccia, le gambe. «Non vedo ferite o lesioni, ma non so perché sia caduta. Il polso è debolissimo.»
Bree cominciò a contare le pulsazioni di Nana, aiutandosi con l’orologio della cucina. Io intanto dettai nome e indirizzo all’operatore.
«Le mando subito un’ambulanza. Controlli che respiri, ma non la muova. Potrebbe essersi lesionata qualche vertebra, cadendo.»
«Va bene, non la muovo. Mi faccia controllare.»
Nana aveva la faccia rivolta verso il pavimento. Mi chinai e le avvicinai il dorso della mano alla bocca. Lì per lì non avvertii nulla poi, dopo quella che mi parve un’eternità, sentii un lievissimo soffio d’aria.
«Respira appena» dissi all’operatore.
Nana emise un gemito.
«Vi prego, venite subito! Ho paura che stia morendo!»