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«Che cos’hai?»

«Una Mercedes McLaren blu, targata DLY 224, contratto di leasing intestato a un certo Temple Suiter.»

«L’avvocato?»

«Presumo di sì. Chi altri potrebbe essere? Quello ha più soldi di Dio.»

Carl Villanovich posò la telecamera e si fregò le palpebre. Erano tre notti che teneva d’occhio la proprietà intorno al Blacksmith Farms e non ne poteva davvero più.

Montò il cavalletto e vi sistemò sopra la telecamera, per prendersi una piccola pausa. Controllò le immagini sul portatile e zoomò sull’esterno della villa.

Era enorme, con un colonnato davanti. Probabilmente in passato vi abitava il proprietario di qualche piantagione. Intorno, c’erano altre costruzioni di servizio, alcune delle quali riconvertite ad altri usi. Erano tutte buie.

«Ne arriva un altro.»

Il suo socio, Tommy Skuba, scattò alcune foto con la reflex digitale ad alta velocità con obiettivo singolo, mentre la Jaguar coupé rossa spuntava a gran velocità dal bosco. Appena la vide svoltare sull’anello davanti alla casa, Villanovich zoomò sulla targa.

«Presa?»

«Sì» gli rispose la voce in cuffia. Il Comando centrale era a oltre cento chilometri da lì, a Washington, e osservava tutto in tempo reale.

Non c’erano posteggiatori, davanti alla casa, e il nuovo arrivato parcheggiò da solo, scese e andò a suonare alla porta. Gli aprì subito una donna alta e bellissima, di pelle scura, con un vestito scintillante. Lo fece entrare con un sorriso.

«Skuba, stai sulle finestre.»

«Lo so, lo so. Sto facendo il possibile per surclassare Steven Spielberg. La Jaguar dev’essere di uno che viene qui spesso.»

Villanovich si fregò la faccia con le mani per svegliarsi. «Non è che smontiamo prima, stasera? Abbiamo già più di quello che serve, no?»

«Negativo» risposero dal Comando. «Vogliamo che restiate fino a quando non se ne vanno.»

Villanovich sentì che Skuba stava scattando altre foto e si voltò verso la casa. Il guidatore della Jaguar era appena passato davanti a una finestra sulle scale con una ragazzina sottobraccio. Era alta e nera come quella che gli aveva aperto la porta, ma non era la stessa.

«Cristo santo!» Skuba abbassò la macchina fotografica e tolse l’audio alle cuffie. «Hai visto che davanzale? Ti dirò: sono un po’ invidioso. E anche un po’ arrapato.»

«Meglio che calmi i bollenti spiriti, amico» disse Villanovich, guardando la finestra ormai vuota. «Qui c’è di mezzo Quantico: si preannuncia un bel casino per il club e tutti quelli che ci stanno dentro.»

Il segno del male
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