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La dottoressa Englefield venne con me di sopra, da Nana. Meglio essere in due, pensai.
«Signora Cross» cominciò. «Tutto considerato, si è ripresa piuttosto bene. Raccomando un’altra notte di degenza; poi potrà tornare a casa.»
«Mi piace che usi il verbo raccomandare» replicò Nana. «La ringrazio del consiglio, dottoressa. Lo apprezzo di cuore. Però vorrei che mio nipote mi riportasse a casa subito. Ho molte cose da fare. Devo preparare delle torte, scrivere alcuni biglietti di ringraziamento e parecchie altre cose.»
La dottoressa Englefield fece spallucce e io decisi di non protestare. Quarantacinque minuti dopo io e Nana stavamo andando a casa.
In macchina, Nana mi fece venire in mente il vecchio labrador color cioccolato che avevo da piccolo, nel North Carolina, appena prima che morissero i miei genitori. Stava con la testa vicino al finestrino abbassato a guardare il mondo che passava fuori. Mi aspettavo che da un momento all’altro si mettesse a recitare la fine del discorso più famoso di Martin Luther King, Free at last, free at last...
O magari qualche battuta di Morgan Freeman in Non è mai troppo tardi.
Si voltò verso di me e batté tutte e due le mani sul sedile. «Come fanno a essere così comodi? Dormirei meglio su uno di questi che in quel letto d’ospedale, te lo dico io.»
«Dunque non ti dispiacerà vedere che abbiamo trasformato camera tua in uno studio» scherzai.
Nana scoppiò a ridere e abbassò lo schienale. «Guarda un po’.» Quando lo schienale fu in posizione quasi orizzontale, la sua risata si trasformò in una tosse che le sconquassava i polmoni, con rumori che mi facevano venire i brividi.
Accostai e la tirai su. Appena si fu ripresa, rialzai lo schienale.
Mi fece cenno che non era niente, continuando a tossire. Ma stava meglio. Io avevo il batticuore. Non sarebbe stata una convalescenza facile, me ne rendevo conto.
Presi spunto dall’accesso di tosse che aveva appena avuto per dirle: «Senti, Bree e io pensavamo di prendere qualcuno che desse una mano in casa...»
Nana grugnì.
«Mentre noi siamo fuori. Mezza giornata soltanto, magari.»
«Non ho bisogno di una badante che mi stia addosso e mi sprimacci i guanciali. Mi sentirei in imbarazzo. E poi verrebbe a costare troppo. Se hai qualcosa da parte, Alex, conviene che lo usi per rifare il tetto.»
«Ti capisco» dissi. Mi aspettavo che reagisse in quel modo. «Ma non riuscirei a stare tranquillo, altrimenti. E i soldi non sono un problema.»
«Davvero?» Giunse le mani, in grembo. «Quindi è della tua tranquillità che stiamo parlando. Già, capisco.»
«Per favore, non litighiamo. Stiamo tornando a casa» dissi, ma subito dopo vidi che alzava gli occhi al cielo: mi stava prendendo in giro.
Il che non significava che avrebbe accettato una persona che le tenesse compagnia quando noi non c’eravamo.
«Vedo che sei di buonumore» dissi.
«Abbastanza» rispose lei. Eravamo quasi in Fifth Street e vidi che Nana alzava la testa per guardare. «Nessuno può rovinarmi la gioia del rientro a casa, ti dirò: nemmeno il grande Alex Cross.»
Un attimo dopo, aggiunse: «Non voglio badanti per casa».