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Gabe Reese camminava nervosamente avanti e indietro nell’atrio della West Wing, con le braccia conserte. Non era abituato a quel genere di incertezza, a non avere informazioni, a brancolare nel buio. Aveva moltissime risorse a sua disposizione, ma non le poteva usare. Perlomeno finché non avesse accertato con che cosa aveva a che fare.
Stava aspettando il vicepresidente per parlare di Zeus, naturalmente, e di quello che era stato scoperto fino a quel momento, oltre che dello scandalo senza precedenti che stava per scoppiare. Tillman doveva tenere un discorso all’Associazione nazionale dei piccoli imprenditori dalle dodici e trenta alle tredici al Convention Center, che si trovava a un paio di chilometri di distanza. Cinque minuti di macchina, e a Reese servivano tutti.
Alle dodici e venti esatte, il vicepresidente entrò nell’atrio affiancato da Dan Cormorant, del Secret Service, e da un pezzo grosso delle relazioni esterne.
Due assistenti alla programmazione e un agente del Secret Service li seguivano, come di consueto. L’arroganza del potere.
Tillman fece una faccia sorpresa nel vedere lì Reese con il cappello in mano.
«Vieni anche tu, Gabe?»
«Sissignore. Non voglio perdermi una sola parola.»
«Va bene. Vieni.»
Uscirono fuori, dove la Cadillac del vicepresidente, due Suburban nere e tre motociclette della polizia li aspettavano con il motore acceso. Il vicepresidente salì sulla limousine e Reese mise una mano sulla spalla di Cormorant.
«Abbiamo bisogno di privacy, Dan.»
Cormorant fece una smorfia, ma si voltò verso l’agente e disse: «Bender, prendi l’auto di servizio. Qui siamo già a posto».
«Sissignore.»
«Bisogna verbalizzarlo» disse Cormorant, non appena l’agente si fu allontanato.
«No» replicò Reese. Non era la prima volta che succedeva. Cormorant lasciò che Reese e il vicepresidente prendessero posto, prima di salire anche lui. A quel punto, comunicò via radio che stavano partendo e il corteo si avviò verso Fifteenth Street.